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Minniti-Raggi, la strana coppia. Alleanza tattica per disinnescare la bomba sgomberi

minniti_raggiChi l’avrebbe mai detto, il “duro” Marco (Minniti) e la “dolce” Virginia (Raggi) felicemente insieme? Eppure è quanto starebbe per avvenire, sia pure in buona parte per necessità. E così il ministro dell’interno, un ex comunista dal piglio decisionista che dal governo ha – finalmente – avuto il via libera per mettere fine all’illegalità diffusa, e il volto femminile del populismo grillino si troveranno insieme, mano della mano, ad affrontare almeno uno degli aspetti dell’emergenza immigrazione, quello relativo al “dove mettiamo?” quei migranti che, una volta sbarcati in Italia e distribuiti nelle regioni, diventano spesso degli “invisibili” senza un posto dove stare e dormire, degli sbandati che per sbarcare il lunario finiscono spesso per diventare manovalanza di ogni tipo di malavita e quindi, di riflesso, una minaccia per le persone “normali” fra le quali si muovono. Nel caso di Marco&Virginia, “galeotto”, se così si può dire, sarebbe l’SMS inviato sabato scorso dalla Sindaca al titolare del Viminale con un preciso messaggio: “vediamoci”. Invito immediatamente accettato, anche se fra turbolenze che avrebbero potuto mandare tutto all’aria. La risposta positiva del ministro era appena partita che un giornale pubblicava un duro attacco della tutt’altro che dolce Virginia proprio a Minniti: “Sui migranti il governo sbaglia”. Ma come tra promessi innamorati, la “gaffe” (specialità per la quale la Sindaca si mostra da quando è in Campidoglio particolarmente dotata) è rientrata ed il sereno è tornato. “Chiedo scusa, la mie parole sono state travisate” il senso della telefonata della Sindaca a Minniti.

E così l’incontro è stato mantenuto e, a quest’ora, potrebbe anche essersi già svolto. Aprendo forse la strada ad un’intesa di collaborazione operativa che travalica i confini della politica partitica. Sulla carta, infatti, i due non dovrebbero neppure parlarsi. Rappresentanti infatti le due forze politiche tra le quali, nelle elezioni politiche della primavera prossima, lo scontro sarà più duro. Il M5S di Beppe Grillo e Davide Casaleggio ha un obiettivo dichiarato: abbattere i sistema dei partiti tradizionali e il PD di Matteo Renzi è il suo principale bersaglio. Quanto al Partito democratico, combatterà contro i grillini la battaglia “per la sopravvivenza”, addirittura per non scomparire. Con il sistema elettorale proporzionale che sembra si debba andare a votare, il PD o arriva prima oppure – nel caso fosse superato anche dal centrodestra in rimonta – corre il rischio di trasformarsi in una nebulosa centrista senza più alcun rapporto con il partito da cui deriva, lo storico Partito comunista italiano, il PCI, alcuni dei cui massimi dirigenti – come Enrico Berlinguer – sono ormai dei punti di riferimento anche per qualche esponente del M5S. Un “odio” (politico) che non poteva non spaccare i due partiti. Nel PD renziano pochi sono d’accordo per una collaborazione – sia pure istituzionale – con i grillini; i tempi in cui Pierluigi Bersani dibatteva con Beppe Grillo sono lontani, e del resto l’ex segretario del Pd ha ormai lasciato la “Ditta”.

Idem tra i Cinquestelle, che fin dall’inizio hanno sempre scelto di “andare da soli”. L’SMS della Sindaca a Minniti non è cosa da poco, potrebbe addirittura prefigurare una maggiore elasticità del M5S nei rapporti con i partiti tradizionali. La parte più ortodossa del Movimento ha fatto capire, per esempio con la Lombardi e con Fico, di non gradire. Virginia però sa di avere le spalle coperte. La linea della collaborazione istituzionale con il governo arriva infatti direttamente dai Grandi Capi, che ormai stanno utilizzando la carta Campidoglio come una pedina in vista delle prossime politiche. Prima hanno blindato la Giunta Raggi con uomini di fiducia catapultati a Roma dal Nord (ultimo in ordine di tempo l’assessore al bilancio Lemmetti, chiamato da Livorno per attuare il concordato preventivo in vista del tentativo di risanamento dell’Atac). E ora chiamando in trincea proprio la Raggi sulla questione dell’accoglienza dei migranti, delicatissima perché di valenza di nazionale. E di fatti, anche se nella vicenda dello sgombero del Palazzo di Via Curtatone il Campidoglio non è esente da colpe, le dichiarazioni iniziali della Raggi sono state un atto d’accusa, peraltro in parte giustificato, contro la mancanza di una linea politica del governo in materia.

Poi, però, Raggi (o, per lei, Grillo&c) e Minniti hanno capito di aver bisogno ciascuno dell’aiuto dell’altro. Alla Sindaca, oltre ad un quadro di riferimento più preciso, serve la collaborazione del governo. Per esempio per fare un censimento dei migranti che si trovano nell’area della Capitale, impresa impossibile senza l’aiuto della polizia e del prefetto Basilone. I seimila posti comunali sono praticamente esauriti, il governo può dare una mano anche per l’affidamento al Comune degli edifici confiscati ai mafiosi nei quali dirottare una parte dei migranti. Ma soprattutto il Campidoglio ha bisogno di soldi. Le principali municipalizzate, Atac e Ama in testa , rappresentano montagne di debiti. Ma anche Minniti, del quale si dice che proprio per la determinazione mostrata nella vicenda dei migranti e nella realizzazione del suo piano per il ripristino della legalità sarebbe nella “rosa” dei politici che potrebbero essere chiamati dopo le “politiche” a guidare il governo), ha bisogno dell’aiuto dell’amministrazione capitolina. Senza un successo a Roma, difficilmente potrebbe superare o l’uscente Gentiloni o, mettiamo, un ipotetico Enrico Letta di ritorno nella politica italiana. Quando Raggi parla di indispensabile collaborazione istituzionale, Minniti non può non essere d’accordo. E per lui può anche essere difficile non concedere a Roma gli aiuti finanziari per risolvere il problema degli alloggi per i migranti e per gli italiani: come convincere tutti che i cordoni della borsa non si aprono il destinatario è un avversario politico?

Carlo Rebecchi

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