LA PREGHIERA NASCE DAL CUORE…O DALLA MENTE? - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

LA PREGHIERA NASCE DAL CUORE…O DALLA MENTE?

preghiera_cuoreUn titolo, una domanda: la preghiera nasce dal cuore…o dalla mente? È indubbio, o almeno così dovrebbe essere per un Credente, che la Preghiera sia un dialogo con l’Onnipotente e che, anche se fatta a livello comunitario, conservi quell’aspetto intimo e profondo che nasce dal nostro cuore.

Vi sono però delle situazioni, ad esempio durante una Funzione, in cui il nostro parlare con Dio, appare più meccanico che spontaneo; non è la prima volta che mi capita di assistere a degli automatismi che alcuni fedeli, senza volerlo, esternano durante la Santa Messa.

Qualche tempo fa, un passo del Vangelo, ripercorreva il momento in cui Nostro Signore insegnò ai discepoli e quindi a tutti noi, La Preghiera per eccellenza: il Padre Nostro.

Ebbene, durante la lettura del passo, una fedele ha iniziato a recitare ad alta voce tale Preghiera come se fossimo in quella fase della Celebrazione in cui è previsto che la collettività preghi con il palmo delle mani rivolto verso il cielo, l’invocazione che Gesù ci ha insegnato.

In un altro contesto, una parrocchiana, anziché leggere normalmente l’Alleluia prima dell’introduzione al Vangelo (in questo periodo di Covid non sono permessi canti durante la Funzione), ha intonato a cappella tale espressione. Appena resasi conto dell’errore, ha chiesto scusa attraverso un sorriso dolce e un po’ imbarazzato ed è andata avanti.

Ancora, in un altro passo del Vangelo vi era l’espressione “Il Signore sia con voi” e più di qualche presente ha risposto “e con il Tuo Spirito” senza rendersi conto che stavamo nella fase di lettura della Parola di Dio dove l’assemblea deve rimanere seduta ed in silenzio ad ascoltare.

Ecco, questi tre esempi, sono indice di come una meccanicità mentale spesso e volentieri prevalga sull’attenzione a ciò che si sta ascoltando o facendo. Ci sono, nel nostro cervello, delle “impostazioni” che sembrano essere intoccabili.

Vorrei fare un paragone di carattere naturale: noi ribadiamo spesso che l’inverno è quel periodo dell’anno in cui le giornate sono più corte e l’estate quello in cui sono più lunghe; se ragioniamo su tale affermazione ci accorgiamo che c’è un errore “naturale”. L’inverno, inteso come la stagione che va dal 21 dicembre al 21 marzo è quel periodo dell’anno in cui i giorni si allungano progressivamente, mentre l’estate, ossia quell’arco temporale che parte dal 21 giugno sino al 21 settembre vede una diminuzione lenta e costante delle ore di luce. Potremmo dire dunque che c’è una situazione di omogeneità, di equilibrio tra i due periodi. Quali sono allora le stagioni in cui le differenze sono marcate a fondo? L’autunno, in cui le giornate sono veramente corte e la primavera dove al contrario si nota visibilmente un aumento della luce solare. Eppure, per noi, l’inverno e l’estate resteranno sempre le due stagioni “esempio” in termini di ore luminose.

Ecco, nella preghiera si attua un po’ il medesimo meccanismo: ci sono parole o frasi che nel nostro cervello fanno scattare un automatismo grazie al quale pronunciamo, nel momento sbagliato, certe preghiere o espressioni senza riflettere. Anche il tono di voce, ad un ascolto attento, risulta standardizzato e, non se ne voglia nessuno, piatto.

Lungi da me puntare l’indice contro i fedeli o suggerire una riforma degna di un “Concilio Vaticano terzo”; sono semplici osservazioni nelle quali chi scrive, magari senza rendersene conto, si pone come protagonista cadendo nell’errore.

Magari dei piccoli escamotage volti ad “uscire” dalla canonica scaletta presente nei foglietti all’ingresso delle chiese, potrebbero tenere alta l’attenzione dell’assemblea portando la medesima a pregare con il cuore ma senza meccanicità.

Stefano Boeris

email

Bisogna effettuare il login per inviare un commento Login