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Tumore al colon retto, si può vincere. A Parlare il dr Vito Pende, coordinatore del PDTA dell’Azienda Ospedaliera S. Giovanni Addolorata di Roma

Vito_Pende

di Elena Padovan

Il tumore al colon retto rappresenta uno dei rischi maggiori in Italia e in Europa. Ad esserne maggiormente colpita è la popolazione sopra i 50 anni e il metodo più efficace per  evitare questa problematica è la prevenzione. Ne abbiamo parlato con il dott. Vito Pende, dirigente medico dell’ UOC di Chirurgia ad indirizzo oncologico dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata, diretta dal Dr Emanuele Santoro. Dall’Ottobre 2019, il dr. Pende coordina il PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) del tumore colorettale.

Dr. Pende, come è strutturato il servizio che lei coordina?

ll PDTA è un modello organizzativo assistenziale riservato ai pazienti affetti da tumore del colon e retto accertato o sospetto, che ha l’obiettivo di favorire la tempestività della fase di completamento diagnostico mediante gli esami strumentali necessari (tac torace addome con mdc, risonanza magnetica, ecografia trans-rettale), della valutazione multidisciplinare e della fase terapeutica con l’individuazione del trattamento più appropriato per il singolo caso clinico (chirurgico o chemio-radioterapico).

Durante l’intero percorso, che comprende una prima fase ambulatoriale e una successiva fase di ricovero, il paziente viene accompagnato passo dopo passo fino alla dimissione post-operatoria e alle cure successive eventualmente necessarie. Possono accedervi tutti i pazienti con tumore colo-rettale diagnosticato mediante retto-colonscopia con biopsia o clinicamente sospetto alla valutazione medica o specialistica. Il medico di base o lo specialista possono prenotare una prima visita chirurgica che verrà fatta entro 7 giorni.

Ad oggi quanto il tumore al colon retto è frequente?

Il tumore del colon retto è al secondo posto in Italia e in Europa nella popolazione maschile e femminile per incidenza e mortalità. Nel 2019 in Italia sono state stimate circa 49 mila nuove diagnosi. I principali fattori di rischio sono l’età maggiore di 50 anni, la familiarità, l’obesità, lo stile di vita e le malattie croniche intestinali. É importante che chi rientra in queste tipologie si sottoponga periodicamente ad uno screening. 

Inoltre è fondamentale fare attenzione a quelli che sono i sintomi principali come il cambiamento delle evacuazioni, la presenza di sangue nelle feci e/o anemizzazione,  i dolori addominali e la perdita di peso. Lo screening viene fatto in dieci secondi e prevede la ricerca del sangue occulto nelle feci. Le linee guida del Ministero della Salute raccomandano comunque di sottoporre la popolazione tra i 50 e 69 anni a tale esame ogni due anni.  In caso di positività dell’esame sarà necessario sottoporsi ad una colonscopia. Il  tasso di incidenza è aumentato nel Sud e nelle Isole, sia fra gli uomini che nelle donne. Le cause vanno ricondotte alla diffusione in queste aree del sovrappeso, al progressivo abbandono della dieta mediterranea e al ritardo nell’avvio dei programmi di screening. Ricordo che lo screening del cancro colorettale riduce la mortalità del 20%.

Perché il tumore del colon è così aggressivo?

Sembrerà strano, ma rispetto ad altri come quello della mammella, del polmone o dello stomaco, si tratta di un tumore meno aggressivo. A volte però, la ridotta presenza di sintomi può far scoprire una neoplasia in stadio avanzato o già metastatizzata al fegato o ai polmoni (20% circa dei pazienti alla diagnosi). Nel caso del tumore del colon la chirurgia è sempre il trattamento di prima scelta nelle forme non metastatizzate, mentre nel tumore del retto, si ricorre spesso ad un trattamento preoperatorio radio-chemioterapico, in modo da rendere la successiva chirurgia ancora più efficace, riducendo il tasso di recidive loco-regionali e con un impatto positivo sulla sopravvivenza. 

Usate delle tecnologie particolari di intervento?

Nel 70-80% dei casi utilizziamo tecnologie mini-invasive come la chirurgia laparoscopica, eseguendo piccole  incisioni cutanee della lunghezza massima di 1 cm ed estraendo il resecato chirurgico da una piccola incisione sovrapubica, scarsamente visibile e senza alcun taglio muscolare. Anche nella chirurgia rettale utilizziamo tecnologie mini-invasive e asportiamo alcuni selezionati tumori del retto mediante piccoli e sottili strumenti chirurgici direttamente per via trans-anale  (Trans-anal Minimally Invasive Surgery) oppure eseguendo interventi di resezione anteriore del retto con duplice approccio laparoscopico tradizionale e trans-anale   (Trans-anal Total Mesorectal Excision). In particolare, soprattutto in caso di tumori rettali vicini al canale anale e nelle pelvi strette come quelle maschili o nei pazienti obesi, quest’ultima tecnica consente di asportare in modo completo ed oncologicamente corretto tutto il grasso che avvolge il retto (mesoretto), contenente i linfonodi metastatici. L’impiego di queste tecniche mini-invasive, associate all’applicazione dei protocolli di riabilitazione precoce ERAS (Enhanced Recovery After Surgery) nelle fasi pre-intra-post operatoria, porta a dei risultati e a dei benefici sorprendenti. I pazienti operati riescono a bere il giorno stesso dell’intervento e si alimentano  già il giorno seguente. La ripresa della canalizzazione è rapida, l’utilizzo di farmaci analgesici ridotto e la degenza post operatoria media è di cinque giorni, dunque molto ridotta rispetto al passato. 

Può illustrare numericamente l’attività svolta nel PDTA?

Nel periodo settembre 2018 – settembre 2019 abbiamo trattato con valutazione multidisciplinare 148 pazienti ed operati 126, di cui il 77% con tecnica laparoscopica. Da ottobre 2019, periodo in cui è stato attivato l’ambulatorio PDTA, fino alla prima settimana di luglio 2020 abbiamo preso in carico 130 pazienti  di cui ne abbiamo operati 108 (87 con tecnica laparoscopica, ovvero l’80.5%).

Dei 130 pazienti entrati nel PDTA, 67 sono stati presi in carico nell’ambulatorio istituzionale del giovedì, 14 sono stati presi in carico da altri reparti, compreso il DEA, 16 sono stati operati d’urgenza (neoplasie in fase occlusiva o con emorragia / anemia severe) e successivamente presi in carico per il trattamento oncologico. I pazienti  presi in carico durante il lockdown e successivamente operati sono stati 33. 

Durante la fase acuta della pandemia questo percorso ha subito dei rallentamenti?

Nonostante eravamo un ospedale No-Covid, abbiamo temporaneamente chiuso l’ambulatorio istituzionale del PDTA. Abbiamo comunque continuato a lavorare in smart working attraverso video-conferenze settimanali multidisciplinari e a trattare ciascun caso clinico.

Attualmente l’ambulatorio è stato aperto al pubblico e vengono applicate tutte le misure e i sistemi di protezione, come l’intervista telefonica ai pazienti, la misurazione della temperatura corporea prima della visita e l’esecuzione dei tamponi ai pazienti che devono essere ricoverati e operati entro 24-48 ore prima del ricovero o intervento chirurgico programmato. A tale fine infatti, la nostra azienda ha istituito un sistema ‘drive in’ di esecuzione dei tamponi necessari per il ricovero o per l’utenza esterna”. 

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