Calcio e violenza, quanti luoghi comuni. Serve un pizzico di pragmatismo in più. - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Calcio e violenza, quanti luoghi comuni. Serve un pizzico di pragmatismo in più.

calcio_violenzaC’è un interesse quasi morboso da parte dei media e della politica attorno a quello che è accaduto l’altra sera all’Olimpico. Non si parla d’altro in tv e sui giornali. I meno stupiti sono quelli che seguono abitualmente le vicende calcistiche e assistono con fastidio al balletto che si è messo in piedi. Interviene perfino Napolitano, sulla scia di Renzi (che per prendere misure aspetta il dopo-elezioni) a chiedere di recidere con un taglio netto il rapporto tra società calcistiche e tifo estremo. Ma in realtà non ci crede nessuno, è il solito dibattito che si apre ogni volta che ci scappa il morto (o quasi, come in questa occasione). Troppi interessi in gioco, nessuno ha il coraggio di andare in profondità. Eppure sarebbe il momento di farlo, forse i tempi sono maturi, la gente ne ha abbastanza e la leva del calcio fa meno effetto. E’ un mondo a parte, quello del tifo organizzato. Che non è quello della battuta al bar. E’quello del traffico di uomini e cose, di droghe e malaffare, di rapporti incestuosi con i club che affidano spesso ai tifosi la commercializzazione dei gadget, che pagano tangenti perché le vite preziose dei giocatori non vengano turbate. Tutto si mischia in un minestrone scuro e puzzolente. Ma il calcio va avanti così. Sembra essere in un mondo da ragazzi della via Paal ala rovescia. Le tifoserie si odiano, si combattono, si alleano, giocano partite strane in una realtà fuori dal tempo. Il fenomeno ha preso piede nelle serie minori, dove i tifosi impongono ai giocatori di inginocchiarsi e chiedere scusa, di restituire le maglie disonorate. Follie, proprio follie. Si può fermare il calcio e poi ricominciare con regole nuove? Un anno sabbatico può essere utile? Possiamo uscire dalla retorica del “salvare il gioco più bello del mondo”? I grossi club sono delle multinazionali, anche il fatto campanilistico è acqua passata. L’Inter mette in campo una squadra con dieci stranieri su undici, non suona strano? Servono risposte urgenti, d’altra parte. C’è un mondo che di calcio vive, decine di migliaia di famiglie, non si può chiudere per fallimento. Ma ne parliamo dopo le elezioni. Con un pizzico di pragmatismo in più.

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