Tor Sapienza, Grasso: "Non è razzismo ma richiesta d'aiuto". Il Pd aderisce alla fiaccolata delle periferie | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Tor Sapienza, Grasso: “Non è razzismo ma richiesta d’aiuto”. Il Pd aderisce alla fiaccolata delle periferie

– «Voglio credere che quelle proteste non si possano liquidare solo come razzismo ma siano una richiesta di aiuto e attenzione». Così il presidente del Senato, Pietro Grasso, intervenendo a palazzo Giustiniani, in merito a quanto avvenuto nelle scorse settimane a Tor Sapienza. «La mia sensazione è che il disagio della periferia si stia estendendo e stia inglobando tutto, trasformando le nostre città in un’unica periferia esistenziale». Così il presidente del Senato, Pietro Grasso, intervenendo ad un convegno sulle periferie, a Palazzo Giustiniani, parlando di quanto avvenuto nelle scorse settimane a Tor Sapienza. Quelli come Tor Sapienza «sono quartieri abitati da persone che magari hanno conosciuto il benessere, lo hanno sfiorato ma lo hanno perso, nelle pieghe di questa crisi che da economica sta diventando sociale, esistenziale». Così il presidente del Senato, Pietro Grasso, intervenendo ad un convegno sulle periferie, a Palazzo Giustiniani, parlando di quanto avvenuto nelle scorse settimane a Tor Sapienza. «I fatti di Tor Sapienza – ha aggiunto – ci hanno costretto a porci domande ancora senza risposta. I disagi esplosi in questa settimana, prima che si estendano ad altre periferie di altre città, ci devono portare a riflettere criticamente sulle risposte che il nostro paese ha dato alle crescenti difficoltà di tanta parte della popolazione». «Bisogna cambiare il paradigma che ha portato sia la politica, che l’amministrazione, a non cogliere in tempo ad esempio i disagi di Tor Sapienza, così come di tante altre realtà, a non essere in grado, non dico di dare risposte ma almeno di comprendere le domande che arrivano da questi territori». Così il presidente del Senato, Pietro Grasso, intervenendo ad un convegno sulle periferie a Palazzo Giustiniani, parlando di quanto avvenuto nelle scorse settimane a Tor Sapienza. – «Il Pd di Roma aderisce alla fiaccolata contro la violenza che si snoderà dal Colosseo al Campidoglio promossa dalle associazioni e dai sindacati per il prossimo 4 dicembre, condividendone la ferma condanna di ogni tipo di violenza, la volontà di avviare concretamente un processo di recupero e riqualificazione delle periferie romane. È necessario rispondere al disagio dei residenti coinvolgendo tutti i soggetti sociali in un’azione corale e richiamando le coscienze civili della città, le istituzioni, le associazioni e le comunità a focalizzare l’attenzione sulla centralità dei temi dell’integrazione e dell’inclusione sociale». Così in una nota il Pd di Roma.

«Basta periferie, la vera scommessa dei prossimi trenta, quarant’anni, sarà quella di trasformare le periferie in città. Ed è una scommessa che deve essere vinta». Renzo Piano usa toni pacati per spiegare al Senato la sua idea di città. Circondato dai giovani che ha voluto al suo fianco per il progetto di riqualificazione delle aree più degradate del paese, l’architetto che Napolitano ha voluto senatore a vita sorride e cita il Calvino delle Città Invisibili, «Anche nelle peggiori c’è un angolo di bellezza», dice. «È questo che dobbiamo fare, andare a riconoscere gli angoli di bellezza nascosta, scoprire scintille di energia, lavorare e lasciare tracce per accendere le coscienze. E per alimentare un modo di fare politica diverso». L’occasione è la presentazione del Primo Rapporto per le Periferie, il progetto lanciato dall’architetto appena arrivato a Palazzo Madama («dedicato al mio amico Claudio Abbado, anche lui aveva un progetto per il Senato, ma non ha avuto il tempo di realizzarlo»), un lavoro «umile» di «rammendi», come dice lui, fatto di piccoli, importanti, progetti per ricucire le parti da troppo tempo slabbrate e abbandonate della città. Quelle che sono piene di degrado e di «monumenti all’insipienza», sottolinea, ma anche quelle in cui vive «la maggior parte della gente».«Non abbiamo fatto granchè, ma cose che restano», premette. Di fatto si è cominciato da Roma, Torino e Catania, con il lavoro affidato alla creatività di sei giovani professionisti («ragazzi bravissimi, selezionati tra 5-600 aspiranti») che per 12 mesi si sono divisi lo stipendio da senatore di Piano e hanno messo su bottega nella stanza che l’architetto ha avuto a disposizione a Palazzo Giustiniani, che è stata in parte ricoperta di compensato e tappezzata di carte e disegni e che alla fine ha dato il nome al progetto («G124 è una sigla: Giustiniani, piano 1, stanza 24»). Si tratta, spiegano poi i ragazzi, di piccoli progetti realizzati con pochissimi fondi. A Roma una piazza attrezzata per riattivare un luogo degradato sotto una stazione mai finita in mezzo al Viadotto dei Presidenti (III municipio); a Torino l’intervento in un parco per ricucire la ferita tra due ali di quartiere nella Borgata Vittoria; a Catania un progetto di spazi verdi, aree giochi, orti didattici e porticati per riunire insieme una scuola e una palestra nel quartiere difficilissimo di Librino. Tutti lavori, sottolinea Piano, portati avanti dai ragazzi «con sublime ostinazione» e con un’opera di costante dialogo con le amministrazioni e le comunità, interventi «rigorosamente dal basso», come fanno notare i curatori dell’intervento di Librino Roberto Corbia e Roberta Pastore che in quest’angolo difficilissimo di Catania, dove sono dovuti entrare «accompagnati», hanno comunque trovato ad aiutarli, cittadini e associazioni come i «briganti del Rugby». In tutti e tre i casi si tratta di un primo passo, «l’inizio di un percorso». Ascoltato dal presidente del Senato Grasso («Lo Stato, oltre a rivedere le politiche dell’accoglienza per fare in modo che l’integrazione sia davvero possibile, e non un semplice incastro di ghetti dentro altri ghetti, deve tornare in questi territori, perchè è qui che vive la stragrande maggioranza dei cittadini italiani») e dal ministro della cultura Franceschini («Il problema non è solo fermare il declino e riqualificare. È capire che è proprio nelle periferie la sfida di questo secolo») Renzo Piano ribadisce l’impostazione del suo lavoro: «quella del progettare è un’arte civica che ha bisogno di una grossa iniezione di umiltà. Per questo abbiamo parlato di rammendo, che è metodico anche se non esclude la genialità. Lo so che non è spettacolare, ma bisogna farlo, è lavoro serio. Basta con le periferie, smettiamo anche di chiamarle così, meglio città metropolitane. E non facciamone di nuove, perchè non sono più sostenibili, troppo costoso anche portare i servizi. La crescita della città non deve essere esplosiva, ma implosiva, bisogna costruire sul costruito, recuperare le zone interne. Per i prossimi 30-40 anni sarà così». Lui, da senatore a vita, continuerà il lavoro. Ogni anno con nuovi giovani, ogni anno con nuovi progetti: «e pare avverrà per tutta la vita».

 

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