Mafia capitale, i referenti di Cosa nostra a Roma e Londra crocevia d'affari per Carminati: "Mi paghi subito" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Mafia capitale, i referenti di Cosa nostra a Roma e Londra crocevia d’affari per Carminati: “Mi paghi subito”

Nella fitta ragnatela di rapporti che le organizzazioni di stampo mafioso intrecciano per sviluppare i propri affari illeciti e assicurarsi il controllo del territorio senza spargimenti di sangue, Cosa Nostra aveva due referenti di spicco nella capitale: Ernesto Diotallevi, storico boss il cui nome è stato associato alla Banda della Magliana, ma uscito indenne dall’accusa di partecipazione a quel sodalizio, e Giovanni De Carlo, il boss emergente, il nuovo che avanza. Diotallevi e De Carlo sono indagati dalla procura di Roma per associazione per delinquere di stampo mafioso proprio in quanto ritenuti, così è scritto nelle carte dell’inchiesta su Mafia Capitale, «referenti romani» dell’organizzazione criminale siciliana. In una richiesta di intercettazioni Diotallevi viene indicato come appartenente a Cosa Nostra dal collaboratore Salvatore Cancemi che «riferisce anche in merito ai suoi rapporti con Pippo Calò». Degli stessi rapporti – si legge nella richiesta della procura- riferisce anche Francesco Marino Mannoia. Riscontri, per la procura, sul ruolo di Diotallevi e di De Carlo emergono anche da un’intercettazione ambientale del 2012 in cui il primo, parlando con il figlio Leonardo, si «definisce – è detto nel successivo decreto di autorizzazione alle intercettazioni – come l’attuale boss di ‘Cosa Nostrà su Roma». «Leonardo: ma chi è oggi il super boss dei boss… quello che conta più di tutti? – dice Diotallevi nella conversazione captata – Ernesto: teoricamente sò io…teoricamente». Nel corso della conversazione, ed in una successiva del 22 novembre 2012, i due parlano – si legge nel decreto – anche del «ruolo di tale Giovanni, indicato come colui che ‘materialmente contà. Diotallevi, in un documento dei carabinieri, identifica poi De Carlo, legato anche al camorrista Michele Senese, »quale soggetto dotato di particolare caratura criminale«, personaggio »’trasversalè («gioca su tutti i tavolì) e capace, ad oggi, di ‘contare materialmentè nel panorama criminale romano». Rapporti, dunque, tra mafie in cui anche la cupola gestita da Massimo Carminati aveva il suo peso specifico. E chi aveva interessi nella capitale doveva trattare con lui. Nelle carte dell’inchiesta sono accennati a contatti con il clan dei Santapaola, quello dei Senese e con la ‘Ndrangheta. Il tutto in nome di una strategia che ha abbandonato traffici come quelli sulla droga per puntare al grande ‘mercatò degli appalti, che tralascia i trafficanti per i colletti bianchi. Affari, tornando al clan Carminati, che generavano ingenti somme di danaro e per mettere al riparo i capitali, all’estero, illecitamente realizzati il clan avrebbe utilizzato un corriere che guadagnava il 4% dell’importo trasportato. Secondo quanto documentato da un’informativa del Ros, il danaro sarebbe transitato prima in contanti in Svizzera e a San Marino e dalle banche locali estero su estero in Liechtenstein o alle Cayman. Il collaboratore di giustizia Roberto Grilli ha riferito che Carminati «gli aveva consigliato di rivolgersi a Marco Iannilli, (indagato nell’inchiesta su Finmeccanica, ndr) – scrivono i carabinieri – il quale aveva spiegato di essere in contatto con un soggetto che avrebbe trasportato fisicamente il denaro contante, con una retribuzione pari al 4% dell’importo totale in Svizzera o a San Marino. L’inchiesta su Mafia Capitale è destinata ad aprire nuovi fronti, ma non perde di vista, ed indaga, sui »buchi neri« di vicende già esaminate. Come quella della presunta destinazione ad un deputato di una parte della tangente, 600 mila euro, versata da Breda Menarinibus (Finmeccanica) per l’aggiudicazione dell’appalto per la fornitura di 45 filobus bus al Comune di Roma destinati al cosiddetto Corridoio Laurentino. Episodio che aveva già messo portato in carcere Riccardo Mancini, ex fedelissimo di Gianni Alemanno. In un’intercettazione Salvatore Buzzi, stretto collaboratore di Carminati, afferma: »I soldi non li ha presi Mancini, l’ha dati ad un deputato, noi sappiamo a chi l’ha dati. Lo sa tutta Roma«.

«A me mi paghi subito…quando ti ho fatto prendere l’appalto; non è che tu mi paghi dopo un anno». Massimo Carminati spiega così ai suoi sodali quale deve essere il rapporto dell’organizzazione con gli imprenditori collusi. E se non fosse ancora chiaro il messaggio, esplicita ancora meglio quale comportamento il gruppo si aspetta da chi gode del suo appoggio, che viene fornito solo nell’ottica di un profitto («ci si muove solo di guadagno, compa…altre cose non interessano»): «il giorno che prendi l’appalto, la sera prepari i soldi…io la mattina dopo vengo, andiamo in banca e mi dai i soldi sennò…». A ricostruire come il sodalizio regolava gli affari con gli imprenditori che gli si rivolgevano è ancora l’informativa dei Ros. E l’occasione per l’ex Nar di spiegare come occorre comportarsi è data dal caso di un imprenditore che, per difficoltà finanziarie, è in ritardo con il pagamento della percentuale accordata per l’aggiudicazione dell’appalto. Carminati prima rimprovera i suoi sodali per non essersi accertati preventivamente della stabilità economica dell’imprenditore («allora però la colpa è vostra che avete dato a uno oberato di buffi su buffi l’appalto…l’appalto lo dai a uno che sta bene…») e poi insiste sul concetto che bisogna pretendere immediatamente la percentuale pattuita: «io ti faccio prendere un appalto, tu quei soldi è come se non li avessi mai presi. Bello a me dammi i soldi…». Il consiglio finale è quello di far saltare l’appalto all’imprenditore moroso, come ritorsione per il mancato guadagno. Anche la crisi economica per l’organizzazione era un’occasione e l’ex Nar lo spiega bene: «come sempre nei momenti di crisi c’è l’imprenditore che non ha la possibilità di espandersi…Allora con i soldi tuoi lui si espande e ti dà una piccola percentuale…che però alla fine sono soldi». Grazie al contributo degli imprenditori che di fatto entravano nel sodalizio, «mafia Roma» era in grado di offrire una serie di servizi a prezzi vantaggiosi («guarda che noi c’abbiamo delle aziende pure di costruzioni…te le affitto a poco…), anche per l’eventuale committente che avrebbe avuto quindi un vantaggio nell’affidarsi al sodalizio. »Dobbiamo fare contento lui – dice Carminati parlando dei vantaggi per l’imprenditore – ma più contenti dobbiamo essere noi«.Un modo ulteriore per affermare che lo scopo principale del sodalizio è il proprio lucro.

A Londra si sono rifugiate per 30 anni generazioni di estremisti di destra e nella capitale britannica Massimo Carminati faceva e progettava affari fino a poche settimane prima di essere arrestato. Ma a Londra si muoveva molto anche Giovanni De Carlo, un incensurato considerato dai pm referente romano di Cosa Nostra, trasferendo la proprietà di società in Inghilterra. ‘Il Piratà Carminati aveva comprato un appartamento a Notting Hill, zona esclusiva – come dice lui stesso nelle intercettazioni -, dove viveva il figlio Andrea che andava a trovare; a Londra Mafia Capitale apriva società e investiva. Specie attraverso De Carlo, personaggio considerato molto importante dagli investigatori. La metropoli era insomma ancora un punto di riferimento per la galassia neofascista e per la mafia romana. «Quando siamo andati latitanti siamo andati a Londra», dice Carminati parlando della sua gioventù violenta. In realtà in Inghilterra il capo e i suoi esportavano capitali. Carminati parlava «degli interessi che lo stesso aveva attualmente a Londra, sia di carattere immobiliare (»a Notthing Hill…il primo piano l’ho comprata da poco io, molto bella..«, diceva il 3 giugno 2013) – si legge nell’informativa – sia imprenditoriale, nei quali avrebbe coinvolto il figlio Andrea (»ho pensato, apro una o due attività, Andrea sta lì che se fa un altro lavoro però controlla, me guarda, capito? A questo punto c’ha un reddito no?«. Il presunto capoclan parla anche degli interessi a Londra di vecchi amici come Vittorio Spadavecchia e Stefano Tiraboschi. »Ristoranti che c’hanno st’amici miei, ce vanno tipo Madonna, la figlia del re cioè…sta a Notting Hill accanto a dove ci sta a dove hanno fatto il film«. Londra ritorna ancora quando Fabio Gaudenzi – arrestato per associazione mafiosa – propone a Carminati un investimento immobiliare alle Bahamas. Si pensa di compiere delle operazioni nella capitale britannica, ma alla fine ‘il nerò si tira fuori. In proiezione londinese si muove molto anche De Carlo, arrestato per ultimo nel blitz del Ros contro Mafia Capitale. Accusato di trasferimento fraudolento di valori e favoreggiamento, l’amico dei vip lavora a lungo per trasferire a Londra alcune società dell’imprenditore Fabio Russo, secondo gli investigatori per prenderne il controllo e ricavarne profitti. Per far questo i ‘colletti bianchì di Mafia Capitale costituiscono due società in Inghilterra, Pf One Ltd e Augustea Ltd, alle quali vengono cedute le quote di PF Immobiliare e Partecipazioni Srl. Ma anche la società di carburanti MS che diventa Mondopetroli: il nuovo amministratore di quest’ultima sarà anche l’amministratore di Augustea Ltd. Sempre da Londra, Carminati rientra precipitosamente a dicembre 2013, quando sembra che lo stiano per arrestare in Italia, dice Salvatore Buzzi a Giovanni Campenni. »Oh, ma questo non te l’ho raccontato – dice -. Lo sai che l’ultima volta che è andato in Inghilterra è dovuto rientrare di corsa perchè sembrava che lo dovevano arrestà?«. Un anno dopo accade.

– L’emergente che sgomita, Giovanni De Carlo, lo chiama ‘sor Ernestò. E lui stesso al figlio che gli chiede chi sia «il boss dei boss» a Roma risponde «normalmente io», ma c’è ‘Giovannonè, che «materialmente conta, oggi c’ha un grosso potere». A 70 anni Ernesto Diotallevi è ancora sulla breccia e l’inchiesta su ‘Mafia Capitalè lo racconta. Indagato per associazione mafiosa, il vecchio ‘imprenditorè in rapporti con la Banda della Magliana è considerato il referente di Cosa Nostra siciliana nella capitale. Come 40 anni fa, quando chiamò il figlio Mario in onore di Pippo Calò, superboss dei Corleonesi latitante nel lusso a Roma con quel falso nome. Ora Diotallevi ha «molteplici e rilevanti interessi economici – scrive il Gip autorizzando le intercettazioni -, è coinvolto in numerose attività, quali l’acquisizione di un cantiere navale e di una pompa di benzina, la costruzione di abitazioni, di un supermercato sul ‘Punto Verdè in zona Spinaceto (a Roma, ndr), la creazione di una società di ‘security’». A Diotallevi la Guardia di Finanza ha sequestrato un anno fa beni per 25 milioni di euro – una supercasa a Fontana di Trevi e tante altre sparse, ville in Sardegna, macchine e moto -, a fronte di entrate incompatibili con il suo tenore di vita. Un passato con accuse di usura – la sua prima attività, secondo gli investigatori, anche se lui dice «odio gli usurai» -, traffico di droga, riciclaggio. Partendo da ragazzo come facchino al mercato. E la rivendicazione di essere stato assolto come boss della Magliana, con annesse querele ai giornalisti. Un presente di investimenti immobiliari senza sosta, di rapporti, di relazioni e ancora di rapporti con la mafia, per i pm di Roma. Nelle intercettazioni dell’inchiesta ‘Mondo di Mezzò sul gruppo di Massimo Carminati, Diotallevi appare un pezzo grosso impegnato a difendere il suo ruolo da un puledro che scalpita, De Carlo, 39 anni, anche lui considerato dai magistrati legato a Cosa Nostra. E tra i due sembra esserci un rapporto contraddittorio. Il giovane porta rispetto al vecchio in pubblico, ma si sta allargando molto. ‘Sor Ernestò parlando col figlio ne ricorda i tanti tic, ma anche il fatto che «si muove su tutti i tavoli». Anche con la camorra romana del boss Michele Senese ‘o pazzò, di recente condannato all’ergastolo. Diotallevi nelle intercettazioni progetta grossi affari, contando ad esempio sull’elezione del candidato del centrodestra – poi sconfitto – a sindaco di Fiumicino. «Se diventa sindaco – dice – sai come piottamo (corriamo, ndr)?…me metto col fiato sul collo…se compramo quella proprietà là, sai che ce famo, un grattacielo! Se diventa sindaco c’è da arricchisse». Ma l’anziano boss si occupa anche di questioni più prosaiche, come le armi a disposizione della sua famiglia, secondo i Ros, da portare appresso assieme al figlio Leonardo per un incontro. Ernesto Diotallevi: «Ammazza che animale questo…» (riferendosi a una pistola). Leonardo Diotallevi: «Con due ferri ci andiamo domani oh…con due ferri a tambu(ro)…». Ernesto: «No co una pistola sola». Leonardo: «Sì ma a tamburo…che se si incastra è finita eh? Con la semiautomatica non ci vai a litigà con questo». È il 20 dicembre 2012 e il ‘Sor Ernestò non ha alcuna intenzione di farsi da parte e sedersi su una panchina al parco.

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