Al Teatro dell'Orologio la storia di una donna ridotta a pezzo di carne | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Al Teatro dell’Orologio la storia di una donna ridotta a pezzo di carne

– Come è possibile che una donna intelligente sia posseduta e rovinata dall’ansia di essere bella, magra, perfetta, di restare giovane, di piacere agli uomini, di essere in perenne competizione con le altre donne giovani? Chi l’ha ridotta così, a sentirsi un pezzo di carne? È da questi interrogativi che muove il nuovo spettacolo scritto e diretto da Marco Maltauro, che ora si firma Boris Coudrais, liberamente ispirato a «La signora delle camelie» di Dumas e intitolato appunto «Storia di un pezzo di carne», che debutta martedì 27 gennaio al Teatro dell’Orologio, dove si replica sino all’8 febbraio, con scene e costumi di Martina Marcucci e le musiche originali di Stefano Switala. Il lavoro, interpretato da Giada Prandi, Fabio Maffei e Gabriele Sabatini, racconta sul filo del paradosso la tragedia di una donna che vuole piacere ed essere amata, ma odia il proprio corpo, tanto da ammalarsi di questa ossessione: Margherita vive molte storie di sesso e una sola storia d’amore, ma non riesce a sentire profondamente questo rapporto, perchè sarà inquinato dalla sua ossessione per il corpo e l’apparire. «Il mio personaggio – racconta la Prandi – lotta contro le rughe, i capelli bianchi, la ciccia, le labbra, le tette. In realtà potrebbe dedicarsi a diecimila altre cose e, invece, una sola cosa la tiene occupata, la assilla e la devasta: non è il Piacere, nè il piacere a sè stessa, come racconta, ma il compiacere il desiderio maschile». «È questo che impedirà alla protagonista di avere un rapporto sano con l’amore – racconta Maltauro/Coudrais – La bellezza e il culto dell’immagine è una delle costanti della nostra quotidianità. Nell’originale di Dumas, l’eroina è malata di tisi e il suo grande amore sfuma perchè una donna di facili costumi, come lei, non può far coppia con un giovane ‘molto perbenè. Nel nostro lavoro la tisi di Margherita è la sua mania ossessiva di apparire bella, giovane, perfetta, sino appunto a ammalarsi. La chiamano ‘dismorfofobià, è spesso legata a disturbi alimentari, depressione, se ne vedono tristi esiti oggi in operazioni di chirurgia estetica devastanti, o incomprensibili, magari in persone giovanissime. Ne sono affetti anche gli uomini, ovviamente, la cui vanità è sempre più un dato di fatto, pur restando patetica. La non accettazione di sè e il perfezionismo portano lontano dalla vita, appunto. Non d’amore, ma di dis-amore si muore».

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