Quirinale, il presidente Mattarella e la folla: "Lezione di civiltà" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Quirinale, il presidente Mattarella e la folla: “Lezione di civiltà”. Famiglia Taché: “Grati per il ricordo”

– Una «lezione di educazione civica» per i bambini, una «manifestazione di fiducia» nei confronti del nuovo Capo dello Stato, ma anche la semplice curiosità per la ‘liturgia repubblicanà dell’insediamento dell’inquilino del Colle: uno spettacolo fatto di riti, protocolli e tradizioni che non smette di affascinare gli italiani e che lascia a bocca aperta i turisti. Motivazioni diverse che hanno portato centinaia di persone, sfidando la mattinata di pioggia e di freddo, ad affollare gli spazi allestiti fin dal mattino per assistere, di persona, agli spostamenti e all’arrivo al Quirinale di Sergio Mattarella. I primi curiosi sono arrivati fin dal mattino, quando il neopresidente ha lasciato sull’ormai famosa Panda grigia la sua residenza nelle foresterie della Corte costituzionale, poco dopo le nove. Un gruppo di suore, in particolare, ha atteso a lungo il passaggio del capo dello Stato all’angolo con via della Cordonata, solo per salutarlo con un cenno della mano. Per le macchine fotografiche dei turisti la mattinata è stata una manna: quando in strada sono arrivati i corazzieri sui loro imponenti cavalli e gli elmi bagnati di pioggia, i flash sono stati tutti per loro. Anche quelli degli italiani, che in più di un caso sono arrivati con l’intera famiglia per insegnare ai più piccini che dietro al fasto ci sono dei valori, quelli repubblicani, da imparare a conoscere e rispettare: «Ho portato i miei figli a una lezione di educazione civica» sintetizza Andrea, 40 anni, che di bambini ne ha quattro. Lui Mattarella ha imparato a conoscerlo solo dopo la sua elezione, ma ne ha subito apprezzato «la pacatezza, credo sia quello che serve per il Paese in questo momento». La pioggia si è fatta via via più fitta, ma la gente non è diminuita, anzi è aumentata. Tra la folla si è distinto il gruppo di Coldiretti, una macchia di ombrelli gialli nel gruppo multicolore degli impermeabili e dei k-way degli operatori tv: «Abbiamo la sede qua vicino, siamo qui per un segno di partecipazione», hanno spiegato. Poco prima delle 10 le due storiche Lancia Flaminia, ma con la capote alzata, hanno lasciato il Quirinale, ammiratissime. Poi tanti applausi quando il Presidente ha lasciato il palazzo della Consulta diretto a Montecitorio. E poi ancora applausi all’Altare della Patria. Maria Rosa, criminologa e sociologa di mezz’età, ha contato i minuti in attesa di vedere l’auto con a bordo Mattarella. Per lei il legame con la storia d’Italia è di famiglia: «Mio padre – ha raccontato – era partigiano. La Costituzione è nata dal sacrificio di moltissime persone, Mattarella è un costituzionalista, spero quindi che tuteli la Carta. Mi dà speranza perchè per una democrazia giovane come la nostra cambiare la Costituzione è un rischio enorme. E poi è importante il suo ruolo per la lotta alla mafia». Però, ha notato la donna, i giovani in piazza non erano tanti. Nicola e Federica, 20 e 19 anni, studenti fuori sede di Taranto, Mattarella lo sentono forse uomo di una epoca politica lontana: «Sappiamo il suo passato nella Dc, non è che ci entusiasmi tanto. Però aspettiamo di vedere come lavorerà. Chi vivrà vedrà». Le Frecce Tricolori hanno da poco dipinto il cielo di verde, bianco e rosso, ed ecco, al Quirinale finalmente è arrivato il presidente. Mattarella, dalla Flaminia questa volta scoperta e scortata dai corazzieri a cavallo, ha sorriso alla folla, che ha ringraziato con foto e saluti. Ma c’è stata almeno una persona che, scherzosamente, lo ha rimpianto come giudice costituzionale: il titolare del bar dove Mattarella spesso si fermava, sulla via della Consulta, a comprare i suoi spuntini preferiti, toast e pizzette. «Certo, sarà sostituito da un altro giudice costituzionale – ha ironizzato – Speriamo che non sia a dieta…».

– Commossi, quasi increduli e grati al neo presidente Sergio Mattarella per aver ricordato nel suo discorso d’insediamento il piccolo Stefano, vittima il 9 ottobre 1982 di un attentato alla Sinagoga di Roma, soprattutto in un momento in cui il terrorismo internazionale è ancora una minaccia per l’Italia. Sono queste oggi le emozioni della famiglia Tachè che quel giorno di 33 anni fa, al completo – mamma, papà, ed i figli Gadiel di 4 anni e Stefano di 2 – stava uscendo dalla Sinagoga per la festa di Sukkot, la cerimonia che segna il passaggio all’età adulta dei piccoli membri della comunità, quando entrò in azione un commando di palestinesi che tirò bombe alle due entrate del tempio e sparò colpi di mitraglietta per coprirsi la fuga. Tutti e quattro i Tachè rimasero feriti e Stefano di 2 anni, colpito alla testa morì un’ora dopo l’attentato. Stefano Gaj Tachè non è ancora ufficialmente nella lista delle vittime del terrorismo, ma da oggi molti italiani hanno conosciuto o riscoperto il suo nome grazie al presidente Mattarella che di lui ha detto «aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano». Stefano fu l’unica vittima di un attentato dove rimasero ferite 37 persone. Per Gadiel, che da allora ha subito oltre 30 interventi, «il fatto che il neo-presidente faccia menzione dell’accaduto in un momento in cui il terrorismo è il nemico numero uno, credo sia il modo migliore per iniziare il mandato di presidente della Repubblica». Gadiel, che con Mattarella divide il triste destino aver visto morire un fratello per mano della violenza, l’uno dal terrorismo e l’altro dalla mafia, «il terrorismo è un atto di guerra. Eravamo usciti dalla Sinagoga, un luogo di preghiera per festeggiare e invece ci siamo trovati in una guerra. Perchè un atto terroristico non finisce quando termina l’attentato, prosegue per sempre e la nostra famiglia non è stata più la stessa». Anche per il papà di Stefano Joseph Tachè, 67 anni, «oggi siamo tutti a rischio perchè il terrorismo colpisce tutti e sicuramente aver citato la morte di mio figlio ha una grande valenza politica, è un segno di apertura mentale, un segno di grande sensibilità. Per questo al presidente va la mia riconoscenza e il mio affettuoso ringraziamento». Il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, in un colloquio dopo la cerimonia di insediamento al Quirinale, ha espresso a Mattarella «la gratitudine degli ebrei italiani sia per la presenza alle Fosse Ardeatine, sia per il ricordo di Stefano Gaj Tachè» definendoli «due momenti indelebili nella memoria». Ora la famiglia di Stefano e tutta la Comunità ebraica vogliono abbracciare il presidente Mattarella e immaginare che una volta per tutte il nome di Stefano venga inserito nell’elenco delle vittime del terrorismo in Italia. Un incontro che la famiglia si augura avvenga davanti alla lapide del piccolo Stefano fuori dalla sinagoga, proprio in Largo Stefano Gay Tachè. «Così facendo ci ha abbracciati condividendo con tutti noi un dolore che non potremo mai estirpare – ha detto il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici – Io sono figlio di quell’attentato. Mio padre è stato ferito in quell’attacco. Il gesto del Presidente della Repubblica riempie il cuore di speranza degli ebrei romani e italiani».

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