Immigrazione: tutti i profughi in città, viaggio tra chi aspetta un letto | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Immigrazione: tutti i profughi in città, viaggio tra chi aspetta un letto

Nell’attesa di entrare nel centro di accoglienza Baobab di via Cupa a Roma, decine e decine di profughi aspettano ore in strada, provati dalla lunga odissea che li ha portati dall’Africa in Italia, nella speranza di avere un letto, un pasto e da bere, prima di proseguire il viaggio verso il nord Europa. D’altra parte il quartiere Tiburtino, vessato da altri problemi, non aveva mai vissuto un’emergenza simile. Davanti al cimitero Verano, accanto a negozi, officine e palazzi, i profughi dormono sui marciapiedi, i ragazzi giocano a pallone, le donne allattano. C’è stanchezza nei volti dei migranti, gli occhi raccontano storie difficili, ma c’è anche tensione e diffidenza: temono di essere identificati e dover restare in Italia. Ma loro non vogliono rimanere. Molti hanno familiari nel Nord Europa, lì sanno che troveranno «un sistema di garanzie sociali che qui non hanno». A dirlo, tra gli altri, è Tirhas, un’eritrea di 27 anni, anche se il suo viso segnato ne dimostra di più: al seno allatta suo figlio più piccolo, di due anni, e ne ha un altro di 5 che scorrazza nel centro Baobab. Lei è sola, suo marito è in prigione nel suo Paese. E da sola ha impiegato un mese, con due figli piccoli, a raggiungere l’Italia dall’Eritrea, attraversando il Sudan, la Libia, per poi vivere l’odissea su un barcone. Domani partirà per la Germania. Stessa meta di Michael e sua moglie, anche loro eritrei, anche loro hanno raggiunto l’Italia su un barcone. Hanno due figli, uno appena cammina, un’altra poco più grande ha un grave problema alla vista e alle gambe. In Germania, spiega speranzoso il papà, la piccola «verrà curata». «Good luck» gli auguriamo: e sul viso si accende un sorriso. Il centro policulturale Baobab è una realtà particolare: autogestito da 10 anni dalla comunità di eritrei della capitale, il coordinatore si chiama Daniel Zagghay. Qui si tenne nel 2010 una cena con l’ex sindaco Alemanno, il boss Casamonica, Buzzi e a cui era invitato Poletti, all’epoca presidente di Legacoop. La foto di quel tavolo è finita sui giornali. In questi giorni al Baobab e nella tendopoli si sta dimostrando la solidarietà dei romani: una fila continua di aiuti, a tal punto che al momento il magazzino di via Cupa è pieno, quindi vengono spesso dirottati presso il campo aperto da Croce Rossa e Comune presso la stazione Tiburtina. Rispetto al Baobab, decisamente sovraffollato, nella tendopoli la situazione è tranquilla: vi dormono circa 150 migranti e l’intenzione del Comune è di ampliare il campo, in attesa di ristrutturare il futuro centro di via Masaniello e ‘alleggerirè così il Baobab. Molti migranti fanno resistenza nell’andare al campo profughi e aspettano invece un posto a Via Cupa, forse perchè, temendo di essere identificati, preferiscono il centro autogestito di cui hanno sentito parlare anche dai parenti già passati per Roma. C’è però anche il disagio del quartiere che improvvisamente si è riempito di profughi che dormono sui marciapiedi. «Non si possono far venire tutti questi immigrati accogliendoli in questo modo. Non penso stiano bene, è una guerra tra poveri», dice un meccanico. «Non sono proprio accolti per niente», afferma un signore che lavora nel quartiere, all’Istituto superiore di sanità. Il titolare di un biscottificio accanto al centro Baobab è risentito con il Comune: «Dovrebbe gestire meglio la situazione». Nel quartiere non si coglie razzismo ma certamente allarme, disagio e anche un senso di inadeguatezza per come i profughi vengono accolti nel nostro Paese.(

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