Muore Remo Remotti, il cantore di una Roma sparita amato da Moretti | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Muore Remo Remotti, il cantore di una Roma sparita amato da Moretti

Leggerezza, creatività, eclettismo ed erotomania. Remo Remotti, morto a Roma all’età di 90 anni, si può sintetizzare così. Un artista sempre in preda alla sua vitalità, alla sua voglia di vivere, quasi incurante delle forme, scultore, pittore, attore, scrittore, cantante, commediografo, poeta ed erotomane convinto («volevo essere Bukowski», confessa nella sua autobiografia), nasce a Roma nel 1924. Rimasto orfano di padre a soli 12 anni, esperienza che lo ha molto segnato, Remotti si trasferisce in Perù, dopo essersi laureato in legge. Nel 1960 torna in Italia, a Milano, e sposa Maria Luisa Loy, sorella del regista Nanni Loy. Espone i suoi quadri in gallerie private milanesi. Nel 1968 va in Germania, dove era già stato per qualche tempo nel 1964 come assistente di Emilio Vedova, e vi rimane fino al 1971. Negli anni Settanta torna in Italia e inizia a lavorare come attore al cinema con Marco Bellocchio, Renato Mambor, Rodolfo Roberti, Nanni Moretti, Carlo Mazzacurati, Egidio Erodico e altri. In tv, nel 2001, recita in Casa famiglia e poi, ancora, in Stiamo bene insieme; Quei due sopra il Varano; I Cesaroni; Il Papa buono e Un medico in famiglia. Lavora in una cinquantina di film (l’ultimo con Massimiliano Bruno, Viva l’Italia!), otto libri e tre album. Mamma Roma addio è la sua poesia capolavoro sulla Roma addormentata, puttanona e del volemose bene per la quale è stato un simbolo. Aveva appena festeggiato i novant’anni esponendo i suoi quadri e le sue sculture nella mostra ‘Ho rubato la marmellatà alla galleria De Crescenzo & Viesti di Roma. Sue opere sono presenti alla Gnam. Amato e chiamato per i propri film da Nanni Moretti (fu psicanalista in Sogni d’oro), Ettore Scola e Marco Bellocchio, ma anche da Coppola che lo ha voluto nel suo Padrino III, confessa nella sua autobiografia Diario segreto di un sopravvissuto (2006): «Dio l’ho trovato a 50 anni e ciò mi ha fatto capire che gli uomini, non maturi come le donne, fino a cinquant’anni non capiscono un cazzo». Si esprimeva così, era sboccato, aveva fatto più di un elogio del sesso femminile, delle puttane, del Viagra. Ancora dalla sua autobiografia, che segue le due versioni di un’altra sua opera autobiografica (Ho rubato la marmellata e Diventiamo angeli. Memorie di un matto di successo), tante provocazioni, piccoli scandali tutti verbali (basti ricordare le sue apparizioni al Costanzo Show). Insomma un Bukowski, ma senza troppo dolore, come riconosce lui stesso: «Una cosa che non ho certo in comune con lui è la disperazione». Una disperazione, la sua, un senso drammatico dell’effimero dell’esistenza, che sono, in maniera diversa, anche nelle tele di Burri, nei film di Fellini e nella fame e bastonate di Pulcinella (il burattino del teatrino del Pincio) e certamente in Amedeo Modigliani, che Remotti cita come sue fonti d’ispirazione principali.

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