Gioielliere ucciso, "Non volevo farlo": poi Caiazza si toglie la vita in cella. Indaga il Dap | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Gioielliere ucciso, “Non volevo farlo”: poi Caiazza si toglie la vita in cella. Le ombre di Regina Coeli

– È stato trovato senza vita ieri sera, con il lenzuolo annodato al collo. A nulla sono valsi i tentativi di salvarlo da parte degli agenti della penitenziaria. Ludovico Caiazza, il presunto killer del gioielliere ucciso sei giorni fa nel quartiere romano di Prati, si è suicidato nella sua cella, dove era stato rinchiuso da solo «per tutelarlo», come spiega il capo del Dap, Santi Consolo. Si è ucciso dopo avere detto, disperato, «non volevo uccidere quell’uomo». Ora ad indagare sul suicidio sono sia il Dipartimento che la Procura di Roma che oggi ha inviato i carabinieri in carcere per i rilievi del caso. A 32 anni la «carriera» da pregiudicato di Caiazza contava numerosi arresti per traffico di stupefacenti e rapine. In un caso fu anche incriminato di stupro, accusa dalla quale fu poi assolto. Una vita in bilico, da tossicodipendente, da «volto noto alle forze dell’ordine», finita nell’ennesima cella dell’ennesimo carcere, questa volta quello romano di Regina Coeli, non molto distante da dove ha ucciso un gioielliere per mettere a segno il suo ultimo colpo. Non pensava che quella coltellata alla coscia avrebbe ammazzato quell’uomo e così ieri sera, a ventiquattro ore dalla sua cattura, ha deciso di farla finita. «Doveva fare la stessa fine», dicono alcuni degli amici del gioielliere durante i funerali nella chiesa di San Gioacchino, nel cuore di Prati. Lacrime e commozione hanno accompagnato oggi il feretro di Giancarlo Nocchia, pianto nel giorno in cui il suo presunto killer ha deciso di uccidersi. Sulla sua bara una rosa rossa ed un gagliardetto della Roma, la sua squadra del cuore. «Una persona che si uccide per non pagare la pena che gli toccava dopo aver avuto il coraggio di commettere un omicidio mi lascia indifferente», un altro dei commenti degli amici del gioielliere. Le indagini del Dap e della Procura dovranno ora ricostruire con esattezza quanto accaduto ieri sera, chi era presente in quella sezione e cosa abbia spinto Caiazza a togliersi la vita. Per questo domani il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, incontrerà il capo del Dap «per chiarimenti sulle dinamiche della vicenda e per fare delle valutazioni più precise». E per questo nelle prossime ora la Procura ascolterà chi ha visto e parlato con Caiazza prima che decidesse di farla finita: presumibilmente i due agenti penitenziari, preposti ai controlli, e la psicologa del carcere. Il suicidio sarebbe avvenuto nei sette minuti che intercorrono tra una conta e l’altra in una cella della settima sezione, quella dei «nuovi giunti». Caiazza nel pomeriggio avrebbe anche incontrato la psicologa la quale avrebbe riscontrato un «forte stato di agitazione». «Siamo addolorati e increduli – il commento di alcuni parenti del presunto omicida -. Da lui non ci saremmo mai aspettati nulla di simile». Il suicidio di oggi ha innescato la polemica sulla situazione delle carceri, ed in particolare su quella di Regina Coeli, dove a presidiare la sezione dove Caiazza si è tolto la vita c’erano solo due agenti. «Routine – commenta l’ex Garante dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni -. Teniamo conto che la polizia penitenziaria è ovunque in sotto organico». A rincarare la dose è la Cgil che parla di un organico al di sotto di 250 unità rispetto a quanto previsto nel carcere di Regina Coeli. «Ciò che è accaduto è drammatico – si legge in una nota – ma l’intero sistema di gestione della mobilità del personale va assolutamente rivisto: servono poliziotti nelle carceri, serve maggiore trasparenza, attenzione e investimenti adeguati».

Aveva molti precedenti per rapina, reati legati alla droga e anche un’accusa di violenza sessuale dalla quale fu assolto. Ma Ludovico Caiazza nella sua vita tormentata e sbandata, segnata pesantemente dalla droga, non aveva mai ucciso. E forse quella rapina di via dei Gracchi finita con un morto lo aveva segnato. Forse per questo ieri sera ha deciso di uccidersi impiccandosi con un lenzuolo nella cella di Regina Coeli dove si trovava perchè accusato dell’omicidio dell’orafo Giancarlo Nocchia. Nelle ore di detenzione nel carcere romano Caiazza, a chi lo aveva visto, come lo psicologo, era apparso «agitato e preoccupato». «Non volevo ucciderlo, non pensavo che quella coltellata avesse potuto ammazzarlo», avrebbe detto disperato Caiazza già in cella. Incredulo che la coltellata alla coscia inferta a Nocchia lo avesse potuto uccidere. E increduli oggi sono anche i suoi familiari, sgomenti per l’accaduto anche se ormai abituati alla vita sbandata di quel figlio e fratello con tanti guai con la giustizia, che era ospite paziente fisso del Sert e che aveva tentato, invano, anche la carta di San Patrignano. Ad avvisare i parenti di Caiazza una telefonata nel cuore della notte: a comunicare la tragica notizia la compagna del 32enne con cui conviveva da tempo in un appartamento al Trullo, alla periferia della Capitale. «C’è poco da dire – taglia corto un parente – Siamo addolorati e increduli. Dobbiamo ancora realizzare quello che è successo. Da lui non ci saremmo mai aspettati qualcosa di simile». I genitori e i fratelli sono chiusi nel dolore nella loro casa di Formia, un comune di 38mila abitanti in provincia di Latina. La cittadina è a pochi chilometri di distanza da dove sabato è finita la latitanza del 32enne di origini napoletane, fermato dai carabinieri su un treno diretto nella Capitale. Caiazza è stato poi trasferito nel carcere di Regina Coeli dove nella tarda serata di ieri gli agenti della polizia penitenziaria l’hanno trovato morto in cella impiccato con un lenzuolo. Era in attesa dell’interrogatorio che ci sarebbe dovuto essere probabilmente oggi. La morte di Caiazza ha scatenato commenti anche sui social network. «Suicidato in carcere Ludovico Caiazza, l’assassino del gioielliere… Amen, uno in meno da mantenere» scrive su Twitter Giada. «Per fortuna che era nel reparto Grande sorveglianza» si legge in un Tweet di Marco.

È un carcere con luci ed ombre, quello di Regina Coeli, in cui si è tolto la vita ieri sera Ludovico Caiazza, il presunto killer del gioielliere ucciso a Roma. Un carcere nel cuore della Capitale, in cui l’Ansa è entrata all’incirca 20 giorni fa, insieme alla Uilpa Penitenziari, uno dei sindacati dei baschi azzurri. Oggi i detenuti sono 850. Sotto questo profilo, la struttura ha conosciuto fasi ben più critiche: nel 2013 i detenuti erano 1.090. Resta un problema di sotto organico tra gli agenti: stando ai dati forniti dalla Cisl Fns Lazio, nella sezione in cui si trovava Caiazza, ci sono al momento circa 120 detenuti e ieri sera c’erano due agenti di guardia. E secondo la Cgil Fp, la lacuna sfiora le 250 unità: su un organico previsto di 613 unità – spiega il sindacato – risultano essere amministrati 568 agenti; ma a questa ‘apparentè carenza di 45 poliziotti penitenziari, vanno sommati altri 200 distaccati, cioè personale inviato presso il Tribunale di Roma, la Cassazione, il provveditorato regionale, il Dap e il Ministero della Giustizia. Delle otto sezioni della casa circondariale, la più critica è la terza: gli ambienti appaiono più vecchi; e se altre aree sono state ristrutturate in modo più evidente, qui l’intervento è stato meno radicale per mantenere l’assetto di una struttura storica, visto che in questa sezione furono detenuti molti antifascisti e partigiani, tra cui Antonio Gramsci e Sandro Pertini. Qui le celle si presentano divise in due parti, una con letto a castello tre posti, l’altro con cucinotto e bagno. Alle pareti e su qualche mensola, si intravedono gli oggetti fatti dai detenuti, dal modellino di un veliero alla bacheca per appoggiare qualche cd realizzata con i pacchetti di sigarette. Durante il giorno le porte delle celle non sono chiuse e i detenuti possono muoversi all’esterno, secondo un modello di vigilanza «aperta» da parte degli agenti. Regina Coeli, che ospita una biblioteca, spazi per il teatro, una lavanderia in cui lavorano alcuni detenuti, è anche un carcere con punti di eccellenza, come il centro clinico da poco ristrutturato con due sale operatorie dove affluiscono pazienti anche da altri istituti. L’ottava sezione, quella in cui è stato per poco rinchiuso Caiazza, è l’area di prima accoglienza, dove si fanno i primi controlli sanitari, psicologici, si verificano tossicodipendenza e alcoldipendenza; di solito, non ci si resta più di una settimana. Sempre qui vengono posti temporaneamente detenuti di altre sezioni che abbiano manifestato gravi comportamenti asociali o siano stati protagonisti di risse o scontri.

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