Migranti, una serata di mostre e spettacoli con "Rifugiamoci nell'arte" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

Migranti, una serata di mostre e spettacoli con “Rifugiamoci nell’arte”

– L’arte come forma di integrazione fra i popoli, ma anche come racconto di sé, dei sogni e delle speranze di chi è stato costretto, per la guerra o l’estrema povertà, ad abbandonare il proprio Paese d’origine. Sono questi i temi centrali del progetto «Rifugiamoci nell’arte» promosso dal consorzio di cooperative sociali Casa della Solidarietà. Mostre d’arte e spettacoli teatrali hanno acceso, per una sera, il Centro Enea di Roma. Un viaggio attraverso la storia, la cultura e le tradizioni di persone fuggite dal proprio Paese. Un viaggio fatto di canzoni, danze popolari, sketch teatrali, fotografie e manufatti che parlano della loro terra, dei sacrifici, dei desideri e degli stati d’animo di chi è costretto a ricominciare una nuova vita, spesso lontano dai propri affetti familiari. Tante piccole mostre hanno accolto i visitatori. Esse rappresentano il risultato finale dei corsi di laboratorio a cui i migranti dei CARA, dei CAS e degli SPRAR hanno preso parte in questi mesi. Si potevano scorgere, realizzate dallo SPRAR di San Michele, alcune pitture su tessuti inneggianti alla felicità (rappresentata da una fiamma sopra una bocca sorridente mentre un sole irradia le tre persone unite nella danza) o alla conoscenza (l’arco rappresenta la cima di un teschio umano e, sotto, una stella splendente dirama i suoi raggi di luce. Sono emblemi della conoscenza creativa e viva). Oppure si potevano apprezzare alcuni modellini di aerei e automobili realizzati dal CARA Codirossoni con materiale riciclato, fil di ferro e cartone. O, ancora, indumenti lavorati all’uncinetto dai rifugiati dello SPRAR Riserva Nuova o manufatti in terracotta, come il Jambè o una maschera africana, confezionati dai ragazzi del CAS Anzio Armellino. Tariq Razzak, pachistano, ha realizzato per l’occasione alcuni monili in legno e pietre. «Sono arrivato in Italia cinque anni fa – racconta – partendo dalla Libia. Lì c’erano ancora Gheddafi e la guerra. Piovevano bombe ovunque e così ho deciso di scappare via mare. Eravamo in 500 su una barca di 17 metri senza poter mangiare, bere o andare al bagno».

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