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E adesso qualcuno tenterà di “sabotare” Virginia Raggi


Si è detto e scritto fin dall’inizio che Virginia Raggi non può, con il solo aiuto del suo partito, il Movimento Cinquestelle, risolvere i problemi di Roma. Soltanto il governo, cioè Matteo Renzi, può evitare che il cammino della sindaca si infranga contro la valanga di cose – dalla corruzione alla malapolitica – che negli anni hanno portato Roma allo stato di degrado in cui oggi sembra agonizzare.

Piazza_del_CampidoglioPer risolvere i problemi della Capitale, il principale slogan del M5S – ONESTA’ – non basta. Ci vogliono soldi, tanti soldi, e quelli soltanto il governo può metterli nel piatto o perlomeno garantirli. E questo in un momento per la Raggi particolarmente delicato, perché i poteri forti della Capitale, che come hanno mostrato le inchieste della magistratura con i partiti tradizionali erano “pappa e ciccia”, non sembrano disposti a cederle il passo tanto facilmente. Le indiscrezioni che filtrano (o meglio: escono alla grande) dal Palazzo di Giustizia anticipano che verrebbe indagata per le consulenze svolte nel 2012 e 2014, quand’era consigliere comunale, per l’Asl di Civitavecchia. L’ipotesi di reato sarebbe quella contemplata dall’articolo 483 del codice penale: “Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”. Pena massima prevista due anni di reclusione. L’inchiesta è stata avviata, su richiesta di esponenti del PD, nel periodo che ha preceduto il ballottaggio, e dopo le spiegazioni dell’allora candidata Raggi sembrava destinata a sgonfiarsi presto. La sindaca, che è avvocato, verrebbe accusata di avere ricoperto i due incarichi legali di recupero crediti, per un totale di 13mila euro ottenuti dall’Asl, senza darne comunicazione; ma la Raggi ha sempre smentito, sostenendo di avere dato comunicazione degli incarichi e di avere in ogni caso guadagnato soltanto 1.878 euro a titolo di “acconto e rimborso” regolarmente denunciati. Come sempre si dice in questi casi, aspettiamo la decisione dei magistrati. Certo, se l’avviso di garanzia fosse in arrivo, e fosse poi seguito da un rinvio a giudizio, si tratterebbe di un colpo molto duro non solo per Virginia ma anche per il M5S. È in Campidoglio da così poco tempo che non si possono fare bilanci.

Tutt’al più si può dare un giudizio sul suo modo di comportarsi davanti ai problemi della città, un giudizio sostanzialmente positivo perché, dal problema dei trasporti a quello della pulizia della città ai rapporti con i dipendenti comunali, si è mossa con accortezza e insieme con decisione, disponibile al dialogo e sempre sorridente. Anche tutte le polemiche che hanno preceduto la nomina della sua Giunta sembravano essersi sgonfiate e la visita non annunciata che Beppe Grillo ha fatto in Campidoglio martedì è sembrato essere l’inizio di una normalizzazione dei rapporti di forza tra la neosindaca e le “correnti” esistenti ai vertici dei Cinquestelle nella scia di alcuni dei suoi leader, Di Maio e Lombardi in testa (quest’ultima alla fine si è arresa, abbandonando il “direttorio”). Leader che sono parsi preoccupati dalla possibilità che Raggi possa pensare di poter decidere da sola, senza tener conto delle procedure proprie da sempre dei Cinquestelle, che le scelte del movimento sono abituati a farle insieme, attraverso la rete. Un modo di fare che non incontrava ostacolo quando il M5S governava piccole realtà ma che è difficile mantenere nella realtà di Roma, molto più caotica e confusa. Già alcuni arretramenti, rispetto alla linea del Movimento, la Raggi sembra averli fatti, a cominciare dalla disponibilità a discutere dell’organizzazione delle Olimpiadi del 2024 e alla realizzazione del nuovo stadio della Roma. L’avviso di garanzia, se dovesse arrivare, rischia di avere effetti devastanti nel M5S anche perché non è detto che Virginia Raggi sia disposta a fare propria la posizione eventualmente definita dal partito. Prima del ballottaggio, quando il caso delle consulenze era venuto alla luce, alla domanda se qualora fosse stata indagata si sarebbe dimessa, Raggi aveva risposto che avrebbe seguito le indicazioni di Beppe Grillo. «Il codice etico che ho sottoscritto – aveva affermato – prevede che se io dovessi essere indagata per fatti rilevanti penalmente la maggioranza dei cittadini potrà chiedere le mie dimissioni, e lo stesso potrà fare il garante del codice se saranno i cittadini a chiederlo. Mi sembra la massima espressione di trasparenza che un eletto possa portare avanti nei confronti dei cittadini che lo hanno portato lì». Altri eletti del M5S, come il sindaco di Parma Pizzarotti e quello di Livorno Nogarin, hanno scelto un’altra via, hanno mantenuto il loro incarico, e sono stati di fatto “scomunicati” dai vertici del partito. Nessuno oggi sa quello che farebbe realmente Virginia Raggi: e questo sarà motivo di fibrillazione non da poco nella squadra che è chiamata a governare una Roma sempre nel caos più completo. Per questo, prima dell’indiscrezione sull’avviso di garanzia, erano state accolte con estrema attenzione, e con favore, le parole di Renzi interpretate come un’apertura al sindaco di Roma dopo che per mesi il premier e segretario del PD si è persino rifiutato di fare il nome della Città Eterna. «Lo dico a quelli del PD, non è che siccome ha vinto lei – le parole di Renzi – dopo 15 giorni ti metti a criticare. A quelli del PD giustamente rode. Ma ha vinto lei, punto. Facciamola lavorare». E di lavoro, avvisi di garanzia permettendo, ce n’è tanto: dal bilancio ai problemi spiccioli di una città che chiede di poter risorgere.

di Carlo Rebecchi

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