Panecaldo e De Luca, renziani dell'ultima ora - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Panecaldo e De Luca, renziani dell’ultima ora

 

Fabrizio Panecaldo

Fabrizio Panecaldo

Chissà se, come scrivono i giornali solitamente “bene informati”, Lorenza Bonaccorsi diventerà nelle prossime settimane vicesindaco di Roma. Gli “atout” e le carte in regola per diventarlo li ha tutti: è giovane e molto bella, come obbligatorio tra i “renziani” vicini al “cerchio magico” dell’ex sindaco di Firenze; e brava comunicatrice. E, quel che conta, in politica non è per nulla sprovveduta: iscritta alla Fgci dagli anni del liceo (il Virgilio), stata la coordinatrice della  campagna elettorale che ha portato in Campidoglio Francesco Rutelli, poi ha collaborato strettamente con Walter Veltroni e  successivamente è diventata capo della segreteria del ministro Paolo Gentiloni (governo Prodi), prima di andare ad occuparsi di comunicazione all’Auditorium, Sempre in prima linea nella vita del partito: lo scorso anno è diventata parlamentare del Pd, senza per questo distogliere per un solo attimo l’attenzione dai problemi di Roma e del Lazio. Tanto che all’inizio di quest’anno si è candidata alla guida del Pd regionale, incarico poi affidato a Fabio Melilli ma per il quale sarebbe probabilmente passata lei se si fosse votato ieri, cioè dopo le “europee”.

Il 43% ottenuto dal partito democratico nel voto per il parlamento di Strasburgo, risultato da tutti riconosciuto come frutto dell’ “effetto Matteo” (Renzi), ha infatti acceso i riflettori su quelli che, nel partito, erano i fan, del non ancora segretario del Pd, fino a qualche mese fa minoranza per nulla presa sul serio nel Pd dei D’Alema & soci. La bella Lorenza,  “renziana”  e sostenitrice della causa della rottamazione lo è dalla prima ora. Già nel 2010, sfidando le ironie dei “compagni” romani, aveva partecipato a “Prossima Fermata Italia”, alla Leopolda di Firenze. Un autentico colpo di fulmine. “Ho creduto da subito  alle idee di Rinnovamento di Renzi” spiegherà più tardi. A Roma, ha anche cercato di fare nel suo piccolo qualcosa di simile. Spingendo per primarie e rinnovamento.  Di fronte si è però trovata un “muro”, il Pd romano. Che era soprattutto sintonizzato sui vertici e sul “sistema”, cioè il modo di fare politica,  che i “renziani” volevano rottamare. Le primarie che hanno portato Renzi alla segreteria nazionale lo hanno evidenziato più di tanti discorsi: nei 20 seggi di Roma, 19 sono andati al candidato dalemiano, Cuperlo, e 1 a Pippo Civati. Al Rottamatore nessuno.

Si spiegano così le parole del ministro Marianna Madia – l’unica “romana de Roma” del governo – quando, dopo il voto delle europee, ha detto tanti giri di parole che “il vento del rinnovamento non è ancora arrivato in Campidoglio”, perché Roma è “un muro di gomma che respinge il cambiamento”. Sempre la Madia ha definito il Pd romano un “partito balcanizzato”, cioè diviso in correnti in lotta l’una contro l’altra, incapaci di lavorare insieme per un obiettivo comune, tutto il contrario di chi sta con Renzi: “Guardi la foto della sera della vittoria al Nazareno, ci siamo io, la Boschi, ma anche  Orfini, Speranza, Gualtieri…Tutti insieme a festeggiare, senza appartenenze né insegne”. Certo il contrasto con Roma non potrebbe essere più evidente, basta ricordare che alla festa in Piazza Farnese per il 43% alle “europee” si è sfiorata la rissa tra Goffredo Bettini da un parte e Melilli e Panecaldo dall’altra, perché il primo, che pure è stato eletto, accusava gli altri due di non avergli fatto ottenere abbastanza voti.

Episodi del genere fanno capire quali ostacoli può avere incontrato la Bonaccorsi nel suo tentativo di aprire il Pd romano alle idee di Renzi. L’ironia iniziale ha poi  lasciato, presto, il posto all’ostilità, soprattutto quando Lorenza, sostenuta solamente dai “piddini” che fanno riferimento a Gentiloni, è diventata la coordinatrice dei comitati renziani del Lazio.  Grande freddo con i vertici regionali del partito, caldissimo il rapporto con i militanti. Quando il camper di Matteo è giunto a Roma durante la campagna delle ultime primarie per la guida del partito nazionale, l’auditorium di Santa Cecilia, in via della Conciliazione, ha potuto contenere con i suoi 1800 posti meno della metà di chi si era prenotato per e-email. L’organizzatrice era stata la Bonaccorsi, che anche dopo questo exploit i dirigenti romani hanno tenuto ai margini.

Logico che, con questo passato di militante “pro rottamazione”, il “cerchio magico” del presidente del consiglio possa pensare a lei per affiancare il sindaco Ignazio Marino. Il “marziano”, salito al Campidoglio un anno fa alla testa di una lista civica e sostenuto da una coalizione la cui spina dorsale è costituita da Pd e Sel, continua ad essere un “oggetto misterioso”. Da una parte è riuscito a non fare quasi mai ciò che Pd e Sel avrebbero voluto; dall’altra non ha neppure avviato a soluzione nemmeno uno dei molti e gravi problemi della Capitale. Certo, i Fori saranno pedonalizzati. Ma Roma è sempre più sporca, il trasporto pubblico è da incubo, le strade hanno più buche di trincee di guerra. Il dissesto finanziario, di cui Marino non è responsabile ma per la cui soluzione ha fatto ben poco, ha costretto il governo nazionale ad intervenire con il “SalvaRoma”, un progetto di rientro dal debito che non c’è dubbio che costerà ai cittadini lacrime e sangue.

Marino ha incontrato nei giorni scorsi gli emissari “renziani” sia del Pd (il vicesegretario nazionale Lorenzo Guerini) sia del governo (i sottosegretari Del Rio e Legnini). La sua speranza era che l’esecutivo si impegnasse direttamente in favore di Roma, sia pure condizionando tale sostegno. Renzi però non ci ha voluto mettere la faccia, probabilmente perché convinto che il suo aiuto ad una città per definizione unanime gestita malissimo rischierebbe di compromettere la sua crociata per “l’Italia che cambia” e il suo dialogo con chi vuole il cambiamento nella maniera più rapida possibile. Renzi si è limitato a far sapere a Marino che è lui a dover decidere gli opportuni cambiamenti alla giunta e a avviare una gestione virtuosa dell’amministrazione capitolina. Dando “una scossa a tutta la macchina”, a cominciare dalle “leve amministrative”, magari sostituendo alcuni dei massimi dirigenti della sua amministrazione nominati dal suo predecessore Alemanno. Se Marino avrà il coraggio e la forza di perseguire gli obiettivi indicati da Renzi, che sono poi quelli che il presidente del consiglio chiede a tutto il paese, e di rendere la giunta autonoma rispetto alla sua maggioranza (Pd e Sel),  l’aiuto del governo non mancherà. E il primo passo in questa direzione potrebbe essere proprio la scelta degli “innesti” da inserire nella Giunta per metterla in sintonia con il governo nazionale, a cominciare da quello di un vicesindaco quale la “pasionaria renziana”. Che, dopo aver tanto lavorato per il cambiamento nel “retrobottega” del Pd romano, avrebbe la meritata visibilità, magari per prepararsi a competere per diventare poi, se Marino non si dovesse adeguare al nuovo corso, la prima “sindachessa” di Roma Capitale.  

Carlo Rebecchi

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