I gladiatori tornano allo stadio di Domiziano | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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I gladiatori tornano allo stadio di Domiziano

I feroci Traci, che combattevano all’insegna del grifone, e i Galli, con quegli elmi appariscenti con ali da rapace. E poi i Provocatores, con il loro grande scudo e il petto protetto dalla cardiophilax. I Gladiatori dell’antica Roma tornano a conquistare lo Stadio di Domiziano, l’area archeologica situata sotto Piazza Navona, con «Gladiatores e Agone Sportivo – Armi e Armature dell’Impero Romano», mostra curata dal collezionista Silvano Mattesini, in programma fino al 30 marzo. Un viaggio alla scoperta dell’ars gladiatoria, anche per sfatare falsi miti e leggende, che sull’onda dell’esposizione già ospitata nel 2010 al Colosseo, ma con in più una sezione dedicata ai giochi dell’Agone, ripercorre un arco di storia che va dal IV-V secolo a.C. al II d.C. «Studiare il mutamento dei costumi e delle dotazioni dei gladiatori – spiega Mattesini – significa anche studiare la società romana e l’evoluzione della sua arte militare». E non è un caso, anzi, quasi un calco della Storia, se dopo l’anfiteatro Flavio, i gladiatori sono ora arrivati allo Stadio di Domiziano. «Quando intorno al II secolo d.C al Colosseo si effettuarono lavori di consolidamento – spiega Matteo Tamburella, responsabile dello Stadio – fu proprio qui che vennero spostati gli incontri». Seguendo il filone dell’archeologia sperimentale, la mostra raccoglie dunque più di 350 tra elmi, corazze, scudi, cingila, schinieri, maniche di protezione e il tipico gladio (la spada corta che insieme a forza e tecnica poteva essere la salvezza di un combattente), tutti fedelmente ricostruiti sul modello de reperti originali custoditi nei più importanti musei d’Italia. Si parte con le origini della gladiatura e i primi prigionieri-combattenti, impiegati, spiega Mattesini, per celebrare con il loro sangue riti in onore di un defunto. O negli anfiteatri come monito per i popoli colonizzati dall’Impero. «Ma non è vero – precisa – che i combattimenti dovevano per forza terminare con la morte di uno dei due avversari». Ecco dunque il greco Mirmidone con linothorax e machaira (una spada del IV-V secolo a.C. usata anche da Alessandro Magno), il terribile Sannita, i Traci e i Galli. In uno scambio continuo con le nuove conoscenze militari, paramenti, armi e soprattutto gli elmi si trasformano. Nel periodo Repubblicano si usa sempre più la cardiophilax. Nel periodo imperiale, invece, Augusto impone nuove regole perchè i combattimenti siano più «morbidi» e, racconta ancora Mattesini, «obbliga i gladiatori a portare una maschera di protezione sul viso per evitare ferite troppo cruente». I primi modelli non sono proprio funzionali: dai due fori all’altezza degli occhi non si vedono gli attacchi laterali e allora sarà Claudio a sostituirli con una griglia più ampia. Intanto l’ars gladiatoria coinvolge anche i patrizi, alcuni gladiatori diventano quasi eroi e persino Caligola arriva a scendere in campo. «Di Commodo si diceva fosse figlio di un gladiatore – aggiunge Mattesini – Diocleziano invece era un gran tifoso dei Traci, come il fratello Tito». Il viaggio si conclude con una sezione «Parata» tra gli elmi da cerimonia rifatti dagli originali della caserma gladiatoria di Pompei e con i «costumi» dell’Agonismo, come l’Oplita da corsa, ovvero i giochi che si svolgevano proprio nello Stadio di Domiziano.

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