Licenziamenti all'Opera: "una decisione sofferta" presa nello studio del ministro Franceschini - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Licenziamenti all’Opera: “una decisione sofferta” presa nello studio del ministro Franceschini

– Lunedì 29 settembre, otto del mattino, studio del ministro Franceschini al Collegio Romano. È qui, secondo quanto ricostruisce l’ANSA, che è stata presa la decisione «dolorosa ma inevitabile» di un licenziamento collettivo all’Opera di Roma, con l’esternalizzazione di orchestra e coro. A quella riunione, convocata a nove giorni di distanza dall’annuncio bomba dell’abbandono di Muti, partecipa un gruppo ristretto di nomi di peso. Insieme con il ministro ci sono il sindaco Marino e il governatore del Lazio Zingaretti, il sovrintendente del Costanzi Carlo Fuortes, il direttore generale dello spettacolo dal vivo del Mibact Salvo Nastasi, il super commissario della lirica Pinelli, l’assessore alla cultura del comune di Roma Marinelli e qualche altro ‘tecnicò. C’è da affrontare la figuraccia planetaria per la musica lirica italiana della porta sbattuta dal grande maestro Muti. E tra i soci fondatori prevale la convinzione che questa volta, dopo i mesi di scioperi e polemiche che hanno agitato la vita del teatro romano, peraltro devastato dal deficit economico, serva davvero una «risposta forte», una decisione che sia un segnale per tutto il mondo della lirica italiana. Impossibile, insomma, cavarsela con la sostituzione di Muti sul podio dell’Aida, tantomeno con la proposta di indicare un direttore donna. Franceschini e Zingaretti sottolineano che accanto alle situazioni di crisi ci sono anche a Roma eccellenze come quella dell’Accademia di Santa Cecilia. Si prende in esame la possibilità, proposta da alcuni dei partecipanti, di fondere l’Opera con Santa Cecilia. Ipotesi che però si rivela troppo difficile da percorrere. Alla fine è Fuortes a lanciare l’idea dell’esternalizzazione di orchestra e coro, un modello di intervento, spiega il sovrintendente, che all’estero funziona bene, tanto che è organizzata così anche la Chicago Symphony Orchestra diretta in America da Muti. Una soluzione che convince tutti. E che alla fine viene ratificata oggi dal Cda, come rivela la consigliera Simona Marchini, che parla di «decisione già presa dai vertici» e di «soluzione avallata» dal consiglio di amministrazione. Lei, che è sempre stata dalla parte degli artisti, è particolarmente addolorata. Ma ricorda il deficit mostruoso del teatro «che si aggira a spanne intorno ai 4 milioni di euro». Un deficit che la soluzione choc di oggi potrebbe aiutare non poco, con un risparmio valutato da Fuortes intorno ai 3,4 milioni di euro. Intanto proprio ieri è arrivata la rassicurazione per Santa Cecilia (che aveva mostrato di non gradire l’ipotesi di una fusione con l’Opera) con l’annuncio del decreto che sancirà l’autonomia per l’Accademia romana e per il Teatro alla Scala di Milano. Forse un segnale in più per far capire che la situazione della lirica italiana non è uguale dappertutto. Tanto che il ministro Franceschini lo ripete anche oggi, spiegando il perchè di questa scelta «dolorosa ma necessaria»: «Con le stesse identiche regole altre fondazioni lirico sinfoniche, come Scala e Santa Cecilia – sottolinea – all’opposto dell’Opera di Roma, hanno avuto buoni bilanci e ottime relazioni con i musicisti, crescendo di qualità sino a raggiungere i criteri per l’autonomia del decreto che ho firmato proprio ieri». Il sasso comunque è lanciato e chissà che il modello che oggi si sceglie per il teatro romano non venga esteso nei prossimi mesi anche ad altre realtà in crisi.

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