Trans molestata in azienda, a giudizio il capo e i dirigenti | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

Trans molestato in azienda, a giudizio il capo e i dirigenti. “Dovevo essere ferito e isolato”

– Insultata e picchiata perchè transessuale. Molestie anche fisiche andate avanti per anni in un’azienda casearia di Aprilia, in provincia di Latina. Un processo stabilirà se è davvero quel che è avvenuto tra il 2008 e il 2010 a Simona, che nel frattempo ha cambiato sesso ed è diventato Simone. Alla sbarra andranno a luglio la titolare dell’azienda – nota nella zona e altrove per le mozzarelle – e tre dipendenti, accusati secondo il legale della vittima di atti persecutori e molestie sessuali. «Tentò anche il suicidio a causa delle vessazioni», ha riferito l’avvocato Daniele Stoppello. Accuse respinte del tutto dagli imputati, che preferiscono non parlare. Il loro legale, Francesco Caroleo Grimaldi, dice che era Simona «a molestare sessualmente alcune dipendenti del caseificio – che l’ha sempre tutelata -, anche a causa della difficile fase di passaggio per il cambio di sesso». Una storia resa pubblica dal Gay Center, associazione che difende i diritti degli omosessuali e dei transgender. Il presidente, Fabrizio Marrazzo, ha lanciato sui social network un boicottaggio dei prodotti dell’azienda di. L’operaia di allora, oggi un 40/enne al termine di un percorso medico e psicologico, lavorava nel caseificio dal 2001, ha raccontato lui stesso. «I veri problemi sono iniziati quando ho parlato del mio percorso – racconta -. Non solo alcune delle altre operaie del reparto, ma anche e soprattutto il macchinista mi molestava. Mi metteva le mani addosso o mi prendeva a calci». E poi l’armadietto privato spostato nei bagni e riempito di immondizia, i continui insulti e le umiliazioni da parte di quasi tutti, «tranne alcune colleghe molto care, che mi difendevano, ma poi hanno iniziato a vessare anche loro», dice. E offese come «sei lesbica e mezzo frocio» o minacce del tipo «se mi denunci vengo sotto casa e ti spezzo le gambe». Fino al 2010, quando Simona dopo psicofarmaci e alcuni mesi lontana dal lavoro viene licenziata per troppe assenze. «Riteniamo non vi sia stata assolutamente alcuna forma di discriminazione sessuale – dice il legale degli imputati, Caroleo Grimaldi -. La ditta ha avuto sempre un atteggiamento assolutamente protettivo con la lavoratrice. Le ragazze che lamentavano molestie da parte sua e si rifiutavano di lavorarci hanno subito un procedimento disciplinare. Un’esperta ci ha spiegato che in questi passaggi di identità oltre il 30 per cento tenta il suicidio».«Dovevo essere isolato e perseguitato. Se qualcuno mi dava la mano o mi toccava finiva anche lui nei guai. È stato un incubo per almeno due anni». Simone ne ha quasi 40 anni, li farà a luglio, quando inizierà a Latina il processo ai suoi presunti persecutori. Due anni almeno – dal 2008 al 2010 – di molestie sessuali e verbali, di botte e umiliazioni in un caseificio di Aprilia, nel Pontino, rinomato per le sue mozzarelle. Solo per aver rivelato di voler cambiare sesso, di essere un transessuale, di aver iniziato il percorso medico e psicologico per diventare uomo, da Simona che era. In Tribunale a Latina andranno alla sbarra la titolare dello stabilimento e tre dipendenti. «Lavoravo come operaia al confezionamento dal 2001 – racconta Simone -, ma i veri problemi sono iniziati quando ho parlato del mio percorso. Forse ho sbagliato a dirlo pubblicamente. Non solo alcune delle altre operaie del reparto, ma anche e soprattutto il macchinista mi molestavano. Lui mi metteva le mani addosso o mi prendeva a calci. E la segreteria dell’azienda mi chiedeva in continuazione quando sarebbe stata l’operazione». «A un certo punto mi hanno degradata a fare le pulizie – continua – e messo una addetta alle pulizie al posto mio. Intanto mi spostavano l’armadietto personale. Una volta lo trovavo accanto alla macchinetta del caffè, un’altra nei bagni. Dentro ci gettavano per sfregio assorbenti, immondizia e ogni altra cosa». Quasi tutti gli operai e gli amministrativi, compresi i dirigenti – secondo l’accusa – infierivano sul collega transessuale. Dicendo frasi come «carne di porco, ti faremo impazzire», oppure «sei lesbica e mezzo frocio» o anche minacce del tipo «se mi denunci vengo sotto casa e ti spezzo le gambe». «Solo le colleghe più care mi difendevano – dice Simone -, ma anche loro sono state spostate per punizione e ho dovuto allontanarle per il loro bene. Nessuno poteva avere rapporti con me». Nel 2008 Simone inizia a prendere psicofarmaci, racconta. Nel 2010 tenta il suicidio. Poi si mette quattro mesi in malattia. «Di ‘capoccià non ce la facevo più – ricorda -, sono stato a casa, ma poi sono tornato perchè avevo bisogno di lavorare. L’azienda voleva che mi licenziassi, ma ho resistito e sono stati loro a cacciarmi nel 2010 per troppi giorni di assenza. E quando sono andato a riprendermi il libretto di lavoro mi hanno fatto trovare davanti all’ufficio il macchinista che mi molestava…». Quindi comincia la ricerca di un altro lavoro, ma secondo Simone l’azienda – «che nella zona se la comanda» – gli avrebbe fatto terra bruciata intorno. «Non ho più trovato un posto a Latina e provincia, vivo con i miei genitori». Ora l’attesa del processo – «fino a luglio, una tregua», dice – e la convinzione che la persecuzione sia stata «soprattutto una questione di ignoranza. Questa gente conosce solo casa e lavoro e non sa che il mondo ha fatto passi avanti, si sta aprendo».

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