Riciclaggio, la Finanza arresta il presidente del Parma Manenti: 22 le persone in manette per associazione a delinquere | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Riciclaggio, la Finanza arresta il presidente del Parma Manenti: 22 le persone in manette per associazione a delinquere

L’ultimo patron del Parma Calcio Giampietro Manenti era forse anche peggio di quanto ipotizzavano i tifosi, a leggere l’ordinanza del Gip di Roma che l’ha fatto arrestare su richiesta della procura. Il 45/enne imprenditore brianzolo, secondo l’accusa, si era rivolto a un gruppo criminale specializzato in frodi informatiche alle banche per rimediare qualche milione, pagare gli stipendi ai giocatori ed evitare il fallimento (domani l’udienza sulla richiesta della procura emiliana). Manenti, prelevato stamani nella sua casa di Limbiate (Monza) dalla Guardia di Finanza si trova ora nel carcere milanese di Opera, accusato di reimpiego illecito di capitali. Nella sua fedina penale – si è scoperto con l’inchiesta – ci sono precedenti per bancarotta semplice, tentata estorsione, lesioni e porto abusivo d’armi. Secondo gli investigatori della finanza non è ancora metà febbraio quando Manenti contatta Angelo Augelli, milanese di 57 anni, intercettato dal Nucleo Tributario di Roma perchè ai vertici di un pericoloso gruppo di hacker e faccendieri. La banda gli promette 4,5 milioni – dietro compenso di centinaia di migliaia di euro – attraverso lo ‘scaricò di carte di credito clonate sul Pos del Parma Calcio. Il tentativo non riesce per motivi tecnici, nonostante le prove compiute da Augelli allo stadio Tardini. Il faccendiere e Manenti non si arrendono – il tempo stringe per il neo patron – e pensano a trasferire fondi estero su estero o ad usare delle fondazioni. A questo punto la Finanza li arresta. «Ottimo dai, praticamente ce lo ricompriamo noi il Parma», diceva Augelli al telefono al ‘sociò Adelio Zangrandi. Volevano il club in disgrazia per riciclare e far fruttare capitali illeciti rastrellati con le frodi informatiche ai danni di banche estere, la specialità del gruppo. Che si avvaleva di un manipolo di hacker: in tutto gli arresti sono 17. Già protagonisti di trasferimenti di fondi per decine di milioni da una banca svizzera, l’Ubs, su conti di società in Spagna o fondazioni benefiche in Brasile. Alcuni falliti in extremis. Con dietro l’ombra della ‘ndrangheta e della mafia: Giuseppe Costanzo, ad esempio, avrebbe contatti con il clan Santapaola di Catania; Michele Fidale e Ilario Ventrice erano vicini a una cosca del Reggino. I pm romani parlano di «assedio alle banche». Tanto da spingere la Finanza a un’indagine lampo per fermarli. Assieme al gruppo criminale la Direzione antimafia e il pool reati finanziari di Roma – con i procuratori Michele Prestipino e Nello Rossi – hanno scoperto anche una distrazione da oltre 20 milioni di fondi pubblici. Stornati da un conto per interventi straordinari nella città di Palermo alimentato dal Ministero dell’Economia (Mef) e finiti nelle tasche del liquidatore della stessa Gestione Fuori Bilancio, di un funzionario della Ragioneria di Stato, del fratello di questi e di altri due colleghi, tutti arrestati. Dovevano controllare il liquidatore e invece si arricchivano. I funzionari sono Domenico Mastroianni, in pensione da novembre dalla Ragioneria, ma presidente dei revisori dei conti di Coni Servizi; inoltre Maurizio Persico e Giuseppe Cavalluzzo. «Neanche un euro è stato impiegato per le finalità istituzionali», ha detto il procuratore Prestipino. La direzione della Ragioneria, dicono fonti del Mef, «da tempo aveva avviato procedure di controllo interne, anche con atti di diffida – i primi a giugno 2014 – al commissario liquidatore attraverso l’avvocatura dello Stato» per acquisire documentazione sulla gestione commissariale. Sono state inoltre avviate «più di recente anche azioni ispettive».

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