L'ira di Renzi: "Basta, così danneggia la città". Quota 25: per cacciare il chirurgo serve il soccorso dell'opposizione | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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L’ira di Renzi: “Basta, così danneggia la città”. Quota 25: per cacciare il chirurgo serve il soccorso dell’opposizione

– Ignazio Marino, per le sue ambizioni politiche, forse per la voglia di affermarsi come anti-Renzi, sta danneggiando Roma. Chi lo seguisse nel suo disegno temerario di restare alla guida del Campidoglio, andrebbe contro l’interesse della città. Il ragionamento, che circola sottotraccia da giorni, apre le conversazioni dei parlamentari della maggioranza Pd, nelle ore in cui al Nazareno si lavora per chiudere, al più presto possibile, il dossier capitale. Al suo ritorno dal viaggio in Sud America, Matteo Renzi avrebbe voluto trovare il ‘faldonè già chiuso, per aprire con novembre una pagina tutta nuova e dare il via alla gestione commissariale della città e del Giubileo. Ma la resistenza di qualche consigliere Dem che proprio non vorrebbe lasciare, permette al sindaco di mettere in atto la mossa meditata da giorni e ritirare le dimissioni. E così dal Nazareno parte l’indicazione: al sindaco non dovrà essere concesso neanche l’onore delle armi. Renzi ha rimesso piede a Palazzo Chigi da pochi minuti, di ritorno da un lungo viaggio tra Cile, Perù, Colombia e Cuba, quando dal Comune di Roma giunge la notizia che Marino ha stracciato le dimissioni. Il sindaco, raccontano, avrebbe voluto attendere fino all’ultimo minuto utile. Ma al Nazareno Matteo Orfini, appurato che non ci sono più margini di trattativa con il sindaco, ha chiamato a raccolta i consiglieri comunali Pd per raccogliere le lettere di dimissioni necessarie a porre fine alla consiliatura. «Finalmente – commenta velenoso un renziano – una mossa giusta». E allora anche il chirurgo accelera il suo estremo tentativo di resistenza: vuole arrivare in Aula e costringere il Pd a sfiduciarlo a viso aperto. A quel punto parte la resa dei conti finale. «Ha scelto lui questo epilogo – dicono fonti Dem – Non gli concederemo la passerella che desidera. Entro domani sarà tutto finito». Ma il passaggio è più complicato di quanto possa sembrare, perchè non è così facile convincere tutti i 19 consiglieri Dem a dimettersi insieme. E la rabbia di Renzi e dei vertici del Pd non viene più dissimulata. Ogni ora in più che si perde nel «pantano» capitolino, «fa del male alla città e ricopre di fango il partito». Perciò, racconta un parlamentare Pd, il ragionamento che viene fatto ai recalcitranti in queste ore è: «Se pensate di poter evitare di dimettervi e non pagarne le conseguenze, sbagliate. Diremo a tutti che volete male alla città. Se volete avere qualche chance di essere ricandidati, date prova di responsabilità». In campo scende nel pomeriggio anche Luca Lotti, l’uomo più fidato di Renzi. E in serata dal Nazareno trapela l’ottimismo: entro domani saranno sul tavolo tutte le 19 lettere di dimissioni Pd e le altre 6 necessarie a raggiungere la maggioranza assoluta. «Ora che il segretario è tornato in città – assicura un deputato – nessuno si potrà sottrarre». Qualche preoccupazione trapela dalle fila dei Giovani turchi perchè la vicenda sta mettendo in difficoltà il loro leader Orfini. Non subito, ma tra qualche mese, sibila qualche esponente della maggioranza Pd, Renzi gli presenterà il conto di una vicenda «gestita a dir poco male». Ma anche il premier, accusa la minoranza Pd, ha le sue responsabilità. Ogni giorno di «agonia» in più, fa diminuire le chance di rimonta alle amministrative del 2016, osserva un senatore bersaniano. E se si perde Roma, anche vincere nelle altre città (oggi è arrivata una prima disponibilità di Giuseppe Sala a correre a Milano), non cancellerebbe la sensazione di una sconfitta. Ma soprattutto, accusano dalla sinistra Dem, il Campidoglio è solo il sintomo più eclatante di una «malattia» che riguarda la gestione del Pd sul territorio. Renzi deve metterci la faccia, invocano, e rimediare.

– Il soccorso alla fine è arrivato dall’opposizione. Certo non dalla destra, non dall’ex sindaco Gianni Alemanno -cosa che avrebbe tinto la tragedia romana di una nemesi ardita- ma comunque da quattro esponenti dell’opposizione che assieme a 21 consiglieri di maggioranza, 19 del Pd, decreteranno entro domani la fine dell’era Marino. E senza neanche dare al sindaco, da oggi non più dimissionario avendo fatto dietrofront, l’onore delle armi in aula. Il braccio di ferro in Campidoglio alla fine non ha fatto prigionieri: tutti sconfitti, tutti a casa. In una sorta di bagno di sangue politico che avrà ripercussioni a lungo. Almeno a Roma. Trovata la exit strategy per cacciare il sindaco, «dimissioni di massa e lo mandiamo a casa», il commissario Pd capitolino Matteo Orfini ha dovuto fare i conti, cercare alleati presentabili al popolo Pd da sommare ai 19 dem. IN una drammatica riunione al Nazareno alcuni consiglieri sono chiarissimi: «non vogliamo schierarci neanche per un attimo col partito che ha portato in Campidoglio Mafia Capitale». Scrupolo politico più che giustificato visto che fino a poco tempo fa sostenevano il sindaco AntiMafia Capitale. Ed ecco allora le trattative da dipanare in pochissime ore visto che il sindaco, mentre i dem sono riuniti, decide di ritirare le sue dimissioni. La conta per arrivare a «quota 25», quella del tutti a casa, si fa febbrile. Alla fine arriva la quadra: ai consiglieri del Pd si uniscono Daniele Parrucci di Centro democratico e Svetlana Celli della Lista Marino, l’unica della Civica a «tradire» il sindaco, entrambi in maggioranza. Per l’opposizione a dimettersi saranno Alfio Marchini e Alessandro Onorato della Lista Marchini, Mino Dinoi del gruppo misto e Roberto Cantiani del Pdl. E proprio su quest’ultimo nome che Orfini trova uno sbarramento. Di pochi ma decisi a non derogare al principio che «insomma con la destra no». Si tratta, si ragiona. Il partito spinge, «c’è Roma da governare, il Giubileo che arriva». C’è Renzi infuriato. «Una decisione sofferta», dice più di un consigliere; «uno dei giorni più brutti della mia vita», chiosa un altro. C’è chi giura di avere visto «lacrime di rabbia» tra i 19. Alla fine, dopo un serrato confronto, il fine giustifica i mezzi. Saranno loro dunque, i temerari 25 assortitissimi consiglieri, a far decadere in un sol colpo consiglio, giunta e naturalmente Ignazio Marino. Senza bisogno di confronti in aula, ratifiche, giorni di attesa «per regolamento». Prima di loro a lasciare sono stati sette assessori. Subito vanno via quelli spediti da Renzi per lanciare la fase due nell’ultimo rimpasto di giunta: un secondo dopo il ripensamento di Marino si dimettono Stefano Esposito, il vicesindaco Causi, Luigina di Liegro, Marco Rossi Doria. Pronti a fare le valigie anche Alfonso Sabella, fortissimamente voluto da Marino dopo gli arresti di Mafia Capitale, Maurizio Pucci e Giovanna Marinelli. Resistono per ora i «fedelissimi del sindaco»: Estella Marino, Alessandra Cattoi e Giovanni Caudo. Silenzio da Francesca Danese e Marta Leonori. Marino è di nuovo sindaco dalle 16.30 di oggi. Ma ha una giunta dimezzata e la maggioranza del consiglio pronto a mandarlo a casa. E neanche sono le idi di Marzo.

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