Mafia capitale in aula, Carminati pronto a parlare. Odevaine: "Ho sbagliato, collaboro", ma è scontro pm-difesa sul "processetto dopato" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Mafia capitale in aula, Carminati pronto a parlare. Odevaine: “Ho sbagliato, collaboro”, ma è scontro pm-difesa sul “processetto dopato”

Da una parte la procura, sicura di avere prove granitiche per inchiodare l'associazione; dall'altra gli avvocati degli imputati, sicuri che sia solo una «campagna mediatica»

Il processo al ‘Mondo di mezzò inizia ancora prima che questo arrivi formalmente alla sbarra: l’addetto che spinge il carrello con i fascicoli del dibattimento viene inseguito da decine di telecamere finchè non riesce ad entrare in aula. Mafia Capitale arriva al vaglio del Tribunale e si capisce subito che tutto il processo ruoterà attorno a quella parola: mafia. Da una parte la procura, sicura di avere prove granitiche per inchiodare l’associazione che per anni avrebbe infiltrato le istituzioni romane; dall’altra le difese degli imputati, altrettanto convinte che Mafia Capitale altro non è che una «campagna politico, mediatico, giudiziaria» che si risolverà in un pugno di mosche. Insomma, nient’altro che una «bufala capitale», una «mafia all’amatriciana» costruita a tavolino da «un’unica regia» che ha messo su un «processetto»: la procura guidata da Giuseppe Pignatone. Il verdetto dei giudici della X sezione, presieduta da Rosanna Ienniello – una che con la mafia romana ha già avuto a che fare, visto che ha guidato la corte che ha processato il clan Fasciani di Ostia – dirà chi ha ragione, ma i numeri sono quelli di un maxi processo alle cosche: 3 anni d’indagine, 46 imputati, centinaia di migliaia di pagine di atti, 55 richieste di costituzione di parte civile in rappresentanza di 150 tra persone e associazioni, detenuti collegati in videoconferenza. E ancora, il circo mediatico, compresi i finti giornalisti, i curiosi che sperano in un passaggio televisivo, persino Povia: il cantante approfitta della presenza delle tv e ‘passà davanti al tribunale per pubblicizzare il proprio disco in uscita. Quello che i pm ritengono il ‘capò indiscusso dell’associazione che aveva messo le mani su Roma, l’ex Nar Massimo Carminati, è chiuso in una cella al 41 bis del carcere di Parma. Così in aula l’unica sua immagine la rimanda uno schermo 10×15: ‘il cecatò rimane immobile per tutta l’udienza, seduto davanti ad un piccolo tavolo su cui appoggia una bottiglia d’acqua e dei fogli. Si alza dopo otto ore, per sgranchirsi le gambe: 4 passi avanti, 4 passi indietro. Lo spazio è finito. Ad un certo punto gesticola, allarga le braccia come a dire ‘ora bastà quando, dopo un’ora e mezzo, non si è ancora esaurita la coda di avvocati in fila per depositare la richiesta di parte civile. C’è, invece, il fratello: «ma vi pare che parlo con i giornalisti? È un anno che ci state massacrando, avete rovinato una famiglia». Carminati «è pronto a parlare», assicura il suo avvocato, Giosuè Naso. Ed è una novità assoluta: perchè Carminati non ha mai aperto bocca davanti ad un pm o ad un giudice. Ma inutile aspettarsi che torni ad affrontare fantasmi del passato: dall’omicidio Pecorelli (per il quale è stato assolto) ai legami con la banda della Magliana, dai Nar alla strage di Bologna. «Quando sarà il momento – dice Naso – si difenderà in maniera diversa rispetto a tutti gli altri processi in cui è stato coinvolto e nei quali ha mantenuto un dignitoso silenzio. Ma non ha rivelazioni da fare. Si difenderà spiegando fatti e circostanze». Quel che è certo è respingerà l’accusa di mafia. «Gli ha dato molto fastidio che il suo nome sia stato accostato alle parole mafia e droga, con la prima non c’entra nulla e la seconda che gli fa veramente schifo». Anche l’altro imputato eccellente, il ras delle Cooperative Salvatore Buzzi, seguirà il dibattimento dal televisore nella sua cella di Tolmezzo. Così come Riccardo Brugia, anche lui ex Nar, considerato l’alter ego di Carminati («potremmo dire l’occhio destro se avessimo voglia di scherzare» afferma Naso in aula), Franco Panzironi, l’ex ad di Ama e Fabrizio Franco Testa, il commercialista fedelissimo di Carminati. L’assenza di Buzzi non va proprio giù al suo avvocato Alessandro Diddi. «Ma quale pericolosità. Qui è stato leso il diritto alla difesa». L’uomo cui spetta il copyright di una delle più efficienti formule per sintetizzare la corruzione imperante, non certo e non solo a Roma – «la mucca deve mangiare per essere munta» – se ne sta seduto ad un tavolo con lo sguardo basso e solo ogni tanto si avvicina alla telecamera che inquadra l’aula. Chi, invece, guarda dritto davanti a sè è Luca Odevaine, da due giorni ai domiciliari e oggi in aula. L’ex factotum di Veltroni, l’uomo che sedeva al tavolo sull’immigrazione al Viminale ha deciso di collaborare con i giudici e ha già riempito diversi verbali. Prima che i carabinieri lo riprendano ad alta voce, perchè sempre un imputato resta, ai giornalisti spiegava di «aver fatto degli errori. Ho ammesso le mie responsabilità e ora affronto questo processo in maniera serena. Ma non c’è un sistema mafioso che gestisce la città». Che non ci sia la mafia lo sostiene anche l’imprenditore Daniele Pulcini. Per un pò si nasconde tra le decine di uditori giudiziari e di studenti venuti a capire come ci si destreggia in un processo complicato. Poi però sbotta. «Queste sono tangenti all’amatriciana. Sa quante schifezze ho visto girando uffici comunali per 20 anni?. C’è la corruzione? Sai che novità. Basta andare in un ufficio del comune per vedere funzionari che hanno la jeep, la casa al mare e quella in montagna, pure l’amante: guadagnano 2mila euro al mese, mi dici come si fa?» Di cittadini, in aula, ce ne sono pochi davvero. Roma non è Palermo nè tantomeno si celebra un processo morboso come quello per la morte di Sarah Scazzi. Ci sono però i «cittadini normali» del M5s, come li definisce il loro legale, che si costituiscono parte civile, assieme a Confindustria e Legacoop, nomadi e profughi, Comune e Viminale: quando si mungeva la mucca, nessuno sapeva. Ora sono tutti lì contro il ‘Mondo di mezzò.

– È arrivato, quasi a sorpresa, tra i primi davanti all’aula Occorsio. Completo grigio, cravatta di ordinanza, il volto però segnato da 11 mesi di carcere. Luca Odevaine, una delle figure-chiave dell’inchiesta su Mafia Capitale, non è voluto mancare al primo atto del maxiprocesso. Tornato martedì ai domiciliari, nella sua abitazione nel centro di Roma, l’ex membro del Tavolo nazionale sull’Immigrazione ha varcato l’aula gremita di giornalisti e avvocati poco dopo le 9 di mattina. Avvicinato dai cronisti, Odevaine si è lasciato andare ad un vero e proprio sfogo, forse covato a lungo in questi mesi passati tra il carcere di Torino e quello di Terni. «Ho fatto degli errori – ha detto con un filo di voce – ho ammesso le mie responsabilità e ora sto collaborando con i magistrati». Lo ha definito un lungo percorso forse incominciato proprio nel dicembre scorso quando venne raggiunto da una ordinanza di custodia cautelare in carcere mentre si trovava all’estero. Rientrò dopo pochi giorni in Italia e venne subito trasferito in carcere. «Sono ancora dalla parte delle istituzioni», ha aggiunto, per poi affrontare il tema del processo: l’esistenza a Roma di un sistema mafioso che ha avvelenato i palazzi dell’amministrazione capitolina e inquinato l’assegnazione di appalti e commesse. Su questo Odevaine, che nel processo è accusato di corruzione, ha una posizione netta. «A mio modo di vedere – ha detto – a Roma non esiste un sistema mafioso che gestisce la città». L’ex membro del Tavolo nazionale sugli immigrati ha aggiunto che a Roma «le cose si trascinano», ma «io non c’entro nulla con Carminati: affronto serenamente questo processo dopo un percorso che mi ha portato anche a collaborare con i magistrati». L’ex vicecapo di Gabinetto dell’allora sindaco di Roma, Valter Veltroni, ha poi affermato che il mondo delle cooperative, uno dei cardini dell’inchiesta dei pm coordinati da Giuseppe Pignatone, è un settore in cui «bisogna arrivare a dei compromessi di natura fiscale perchè lo Stato non paga». Parole dette poco prima di lasciare l’aula, a metà di una udienza faticosa e lunga. Proprio oggi su alcuni quotidiani erano comparso alcuni verbali di interrogatori in cui Odevaine tira in ballo il sottosegretario all’agricoltura del Ncd, Giuseppe Castiglione, già finito nel registro degli indagati a Catania. «Odevaine un pentito? Più che altro una persona che ha commesso degli errori, ha ammesso le sue responsabilità. Anche questa volta ha scelto di stare dalla parte della giustizia», ha concluso il suo difensore, Luca Petrucci.

Neanche il tempo di incardinare il processo su Mafia Capitale che già si registrano le prime schermaglie tra difesa ed accusa. Ad accendere la scintilla è stato l’avvocato Giosuè Naso, storico difensore di Massimo Carminati, ma anche di altri due imputati, Riccardo Brugia, ritenuto braccio destro dell’ex Nar e detenuto a Terni, e Franco Testa (Secondigliano), manager vicino allo stesso Carminati, le cui presenze in aula (possono assistere solo in videoconferenza) sono state escluse dal tribunale. Nell’eccepire quella decisione, Naso ha detto: «Questo è un processetto dopato, drogato da una campagna mediatica, ma dietro c’è una regia precisa». «Sulla posizione di Carminati nulla questio – ha proseguito Naso – in quanto in regime di 41 bis, ma questo discorso non può valere per gli altri miei due assistiti». Soffermandosi, in particolare, su Testa, trasferito da Rebibbia a Secondigliano la settimana scorsa, Naso, rivolgendosi al presidente del Tribunale Rosanna Ianniello, ha aggiunto: «Cos’ha Testa per essere pericoloso, poteva stare a Rebibbia e, le assicuro, in questo momento per lui il processo è un fatto secondario in quanto ha un figlio piccolo ammalato che per colpa di questa vicenda giudiziaria sta peggiorando». Piccata la risposta del pm Giuseppe Cascini, rappresentante dell’accusa insieme con i colleghi Paolo Ielo e Luca Tescaroli: «Tutti i processi sono molto seri e tutti gli imputati vanno rispettati – ha detto – non è elegante e non è rispettoso per i detenuti dichiarare che questo è un processetto. Io ho uno stile diverso e non vado per i corridoi a dire a tutti i presidenti di tribunale che incontro che sono i migliori». Rispondendo anche all’eccezione sollevata sullo stesso tema dall’avvocato Alessandro Diddi, difensore di Salvatore Buzzi che ha definito il processo una «bufala capitale», Cascini ha definito «equilibrata la decisione del Tribunale e qui va mantenuta». A conclusione della discussione, il tribunale si è ritirato in camera di consiglio ed ha respinto le eccezioni spiegando che la partecipazione al processo di Buzzi, Brugia e testa tramite collegamento in videoconferenza «non lede in alcun modo il diritto degli imputati di partecipare al dibattimento». Intanto alla prima udienza sono state presentate 150′ istanze di costituzione di parte civile. Si va dal Campidoglio alla Regione Lazio, da associazioni fino ad un gruppo di 40 nomadi del campo di Castel Romano, sul quale per la procura la holding di Carminati speculava, a tre profughi.

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