Giubileo, tra chi ha perso un amico a Parigi e l'80enne con il sogno di vedere Bergoglio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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I colori del Giubileo, tra chi ha perso un amico a Parigi e l’80enne con il sogno di vedere Bergoglio

giubileo2– La gente comincia ad arrivare a San Pietro all’alba. Non c’è ancora la luce del giorno quando le vie d’accesso sono già tutte piene. File lunghe ma composte. Non è tanto la quantità di gente, quanto la rigorosità dei controlli a rallentare l’accesso a piazza San Pietro. I pellegrini alla fine hanno vinto la paura e per la Messa di inaugurazione e i primi riti del Giubileo arrivano in 70mila. Non li fermano perquisizioni e metal detector e neanche la pioggia. Paura? «Assolutamente no», rispondono Carmela e Maria, siciliane e emigrate a Padova per lavoro. «Non potevamo non essere qui: l’apertura della porta santa è l’apertura della porta del cielo. E poi, per chi ha fede, siamo tutti nelle mani del Signore». Non si sono raggiunti i numeri dei grandi eventi come le canonizzazioni dei due Papi o le Gmg con i giovani. Ma oggi era stata data l’indicazione tassativa che si entrava solo con il pass. E alla fine è arrivata tanta gente quanta ne può contenere la piazza. Sul sagrato le personalità, dal presidente Sergio Mattarella al premier Matteo Renzi, dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, il presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi. Al gran completo le autorità ‘romanè: il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, il commissario straordinario di Roma Capitale, Francesco Paolo Tronca e il prefetto di Roma, Franco Gabrielli. Non mancano delegazioni dall’estero: tra loro i Reali del Belgio. All’interno del colonnato del Bernini, invece, la gente più diversa tra la quale si respira emozione e solennità. Mancano un pò i folcloristici venditori di bandierine e rosari, tenuti lontano proprio dalle imponenti misure di sicurezza. E mancano soprattutto i bambini che normalmente invece ‘coloranò con i loro peluche e la loro confusione le celebrazioni di Papa Francesco. Sono comunque in piazza due fratelli di Salerno, Raffaele, 8 anni, e Celestino, 13. «Io avevo paura», confida la mamma. «Sono stato io a spingere per venire», interviene infatti il papà. E la moglie ora contenta conferma: «Sono felice di aver vinto la paura e di averli portati qui, sarà nella loro vita un momento indimenticabile». Daniela di Milano spinge un passeggino (anche questi dovevano essere incastrati sotto i metal detector per i controlli). Dentro c’è un bambino di cinque anni un pò annoiato ma tranquillo. «Si chiama Francesco e potevamo noi non esserci?», dice sorridendo la mamma che dopo la messa porta il piccolo anche sotto la Porta Santa. «Non possiamo rinunziare a questi momenti di straordinaria bellezza – aggiunge -. Non esserci altrimenti diamo ragione a chi fa gli attentati, come quelli di Parigi». Una celebrazione solenne ma sobria quella di questa mattina. E i fedeli si sono adeguati seguendo tutti i momenti della Messa con grande compostezza. Nei momenti di silenzio, dopo l’omelia e durante la consacrazione, l’unico ‘rumorè che si sente è lo scrosciare dell’acqua delle due fontane. L’emozione irrompe in un applauso caloroso in due momenti: quando Papa Francesco apre la Porta Santa e nel momento in cui la varca il primo ‘pellegrinò, Benedetto XVI. L’affetto della piazza diventa incontenibile. Un applauso si era sentito anche all’inizio, nell’attesa della Messa, quando è spuntata tra la folla una bandiera della Francia, nazione colpita dagli attentati del 13 novembre scorso. E sulle minacce c’è anche chi ammette di avere «tanta rabbia; ci siamo ridotti a dover farci controllare così – dice Elena arrivata a Roma da Riva del Garda – per partecipare ad una messa». Alla fine la prova è stata superata. Tutto nella normalità anche sotto il profilo sanitario: le sei tende che fungevano da pronto soccorso hanno dovuto soccorrere complessivamente una ventina di persone. Sindrome influenzali e qualche caduta; uno solo ha un malore un pò più serio (è un paziente cardiopatico) e viene trasferito nel vicino ospedale Santo Spirito. E sciolta la tensione, superata anche la solennità di un rito, l’apertura del Giubileo, che si vive poche volte nella vita, l’Anno Santo si fa ‘social’. Allora prima di passare sotto la Porta Santa diventa inevitabile farsi un selfie, magari da twittare o postare su Facebook.

Ricordano gli attentati di Parigi che hanno sfiorato le loro famiglie e nei quali hanno perso amici ma al contempo chiedono che «le persone perseguitate negli altri paesi vengano accolte». Sono quattro fedeli francesi, Jean Francois, Godefroy e le loro mogli che questa mattina sono arrivati a San Pietro per l’apertura della Porta Santa a Roma. «Noi non siamo contrari all’immigrazione, bisogna controllarla ma dobbiamo accettare le persone che ne hanno bisogno», il loro messaggio al termine della cerimonia con Papa Francesco. Le due coppie di amici vengono dalla zona di Nancy e raccontano: «Tre nostri amici di Nancy e Metz sono morte negli attentati di Parigi e noi siamo tristi, tutta la Francia lo è. I terroristi sono dei folli e dei barbari, ma il messaggio del Papa che ci è piaciuto di più è la misericordia, insieme all’umiltà, alla povertà nella chiesa», affermano. Al termine delle celebrazioni in piazza San Pietro, mostrano una preghiera che li ha particolarmente colpiti: «Lo Spirito Santo guidi le loro coscienze – recita – a conoscere il dramma e la gravità del male e i loro cuori a ricevere guarigione e misericordia». «Noi speriamo in un mondo di pace, soprattutto per i nostri figli», dicono all’unisono. Poi Jean Francois, pensionato, racconta: «Io e mia moglie abbiamo quattro figli, uno dei quali vive a Parigi. Quando la sera degli attentati ho visto alla tv quello che stava succedendo l’ho chiamato subito per sapere dov’era. Lui sarebbe dovuto andare allo stadio, ma poi fortunatamente non ci è più andato, aveva da lavorare». «Anche noi abbiamo quattro figli su cinque che abitano a Parigi – gli fanno eco Godefroy, un chirurgo pediatrico, e sua moglie – ma quella sera erano a casa. Li abbiamo subito sentiti». Gli amici morti no, loro erano al ristorante «e ora non ci sono più». I quattro francesi si trattengono a Roma per sette giorni e oltre all’avvio del Giubileo in piazza San Pietro faranno anche i turisti tra Castel Sant’Angelo e Villa Medici. «Amiamo l’Italia, la sua storia. Oggi non abbiamo avuto paura in piazza – dicono – perchè c’era tanta polizia, tanti controlli che ci hanno rassicurato. Anche in Francia, ora, c’è tanta polizia, tanti militari e per noi è una cosa buona. Noi vogliamo la pace ma anche la sicurezza».- Francesco, classe 1935, ex fornaio. Ottant’anni compiuti da qualche mese, tanta vitalità e un sogno nel cassetto: vedere dal vivo Papa Francesco. Un sogno che oggi, nel giorno di apertura del Giubileo della Misericordia, ha potuto realizzare con un vero e proprio ‘blitz’ nella Città Eterna. È arrivato a Roma con il pullman da San Benedetto del Tronto. Partenza di notte per essere all’alba nella Capitale e poter riuscire a trovare posto in piazza San Pietro. «Avevo un sogno che volevo realizzare da tempo – racconta – Ci pensavo ogni giorno da quando è stato eletto. Volevo vedere il Papa dal vivo. E prima di morire. Ha il mio stesso nome… ci tenevo ad essere qui. Per questo ho deciso di venire. Sono da solo. Mia moglie e le mie figlie sono rimaste a casa. Io ho preso l’autobus e sono venuto a Roma». Lascia soddisfatto piazza San Pietro. «Ero proprio lì – dice indicando un punto sulla destra del colonnato – L’ho visto bene il Papa. Poi quando si è affacciato dalla finestra, che emozione!». E la Porta Santa? «Troppa confusione, non ci sono passato – risponde – Ma ho visto il Papa e sono contento. Volevo solo quello. Ora devo ritornare». E mentre si incammina su via della Conciliazione ferma qualche pellegrino e chiede consiglio: «Scusate, sapete dove passa l’autobus per la stazione Tiburtina?». Zaino in spalla, scarpe da trekking e un nomignolo con cui ama presentarsi: «Il somaro del Signore». È Vincenzo, diacono di 50 anni età, uno dei tanti pellegrini arrivati a Roma per l’apertura della Porta Santa. Da Viterbo, la città dove abita con la sua famiglia, ha camminato per tre giorni per raggiungere la Capitale lungo la via Francigena: «Il cammino è una vocazione, una chiamata – spiega – uno dei modi in cui il Signore chiama le persone. Ci sono persone che pregano e persone che pregano camminando, io sono una di queste». Vincenzo viaggia solitario: «Ho moglie e due figli – racconta passeggiando per via della Conciliazione -, uno di 18 anni e uno di 23, ma a loro tre non piace camminare, non vengono con me. Sono partito da Viterbo il 3 dicembre e sono arrivato a Roma il 6: il primo giorno ho fatto 31 chilometri, il secondo 29, il terzo 17. Il cammino della via Francigena è un cammino medioevale e non è la prima volta per me. Precedentemente ne avevo già fatti altri, ad esempio da Viterbo a Siena. E in futuro continuerò: il prossimo obiettivo è il cammino di Santiago. Cosa mi motiva? Ogni persona ha una sua particolare motivazione, io vedo nel camminare un’analogia con la vita: sia il camminare, sia il vivere, ad esempio, hanno un inizio e una fine». Il ‘diacono camminatorè stamattina è stato tra i primi ad arrivare in piazza San Pietro, intorno alle sei, quando ancora era buio. Dopo l’apertura della Porta Santa e la cerimonia di Papa Francesco spiega così cosa lo ha più colpito: «Questo Papa mi ha dato una spinta per la misericordia, è diverso sentirlo di persona rispetto a quando lo ascolti per televisione. È una sensazione più forte». Poi, un pò stanco ma sempre sorridente, si congeda con una promessa: «Oggi non sono riuscito a passare sotto la Porta Santa, ma tornerò per farlo. Sempre a piedi ovviamente».

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