Strage Fiumicino, il terrore 30 anni prima di Parigi | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Strage Fiumicino, il terrore 30 anni prima di Parigi

Doveva finire come l’11 Settembre a New York – ma 16 anni prima -, con un aereo a schiantarsi su Tel Aviv. Invece fu la seconda strage dell’aeroporto di Fiumicino, con modalità che ricordano quella di Parigi a novembre. Era il 27 dicembre 1985 – 30 anni fa -: un gruppo di terroristi palestinesi assaltò con bombe a mano e kalashnikov i banchi della compagnia israeliana El Al e della statunitense Twa, sparando sulla gente in fila o al bar. Nello scontro a fuoco con i poliziotti e la sicurezza israeliana morirono 16 persone: 12 passeggeri, 3 terroristi e un addetto israeliano; 80 i feriti. Secondo alcune fonti, avallate dal giudice Rosario Priore che indagò, il commando doveva prendere un aereo e farlo precipitare su Israele. Come avrebbero poi fatto nel 2001 i kamikaze di Osama Bin Laden in America. Ma i terroristi furono scoperti e scatenarono l’apocalisse in aeroporto. «Sapevamo che nessuno di noi sarebbe uscito vivo», ha detto anni fa Ibrahim Khaled, l’unico dei quattro a essere catturato. Condannato a 30 anni, ha collaborato, chiesto perdono e di recente è tornato libero. Il massacro dell’ ’85 arrivò 12 anni dopo quello del 17 dicembre 1973, sempre a Fiumicino e da parte di arabi armati, con 34 vittime e modalità ancora più cruente: due bombe incendiarie gettate dentro un aereo pieno fermo sulla pista. A seguito di quella strage Aldo Moro avrebbe stretto un accordo con i gruppi palestinesi, che si impegnavano a non compiere azioni in Italia a patto di poter transitare per il Paese con armi ed esplosivi. Ma l’intesa segreta voluta dal ministro degli Esteri democristiano sarebbe emersa solo molti anni dopo. Il mandante dell’attentato dell’ ’85 era Abu Nidal, capo di una fazione palestinese contraria alla linea più moderata a cui si era deciso il leader dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) Yasser Arafat. Condannato all’ergastolo in contumacia, Abu Nidal è stato ucciso nel 2002 a Bagdad. Il commando arrivò a Roma un mese prima, in un periodo in cui stava saltando il cosiddetto ‘Lodo Morò (lo statista Dc era stato ucciso nel ’78), che aveva risparmiato per 12 anni attentati palestinesi all’Italia. In poche settimane, un colpo di bazooka sull’ambasciata Usa, una bomba al Cafè de Paris in via Veneto, un’altra alla compagnia British Airways. Ad ottobre il dirottamento della nave Achille Lauro e l’uccisione di un passeggero americano sulla sedia a rotelle, Leon Klinghoffer. E si arriva al 27 dicembre 1985. Sono le 9.05 quando i quattro, che si trovano vicini ai check-in El Al e Twa, vengono individuati dalla security israeliana – probabilmente corpi speciali – e scoppia la sparatoria. Un minuto di terrore, i palestinesi mirano ai passeggeri in fila. Tra le vittime italiani, statunitensi, messicani, greci e un algerino. Tre terroristi vengono uccisi. Khaled, 18/enne, viene catturato. In simultanea a Vienna un altro gruppo attacca l’aeroporto, uccide 3 persone, decine i feriti. Due fedayn vengono presi, uno muore. L’ammiraglio Fulvio Martini, nell’ ’85 capo del Sismi (intelligence militare), ha scritto che dal 10 dicembre si sapeva di un possibile attentato in Italia. Il 19 i servizi informarono che sarebbe avvenuto tra il 25 e il 31 dicembre a Fiumicino. Gli israeliani, scrive Martini, misero tiratori scelti a difesa della postazione El Al. Furono loro i primi a reagire. Le forze dell’ordine italiane erano impreparate. Nel 1992 i capi della sicurezza di Fiumicino sono stati assolti. Il 17 dicembre ’73 era andata perfino peggio: un gruppo di terroristi arabi arrivato dalla Spagna in aereo con le armi nei bagagli a mano gettò bombe al fosforo dentro un Boeing Pan Am sulla pista, uccidendo 30 persone. Quindi dirottò un aereo su Atene, altri morti prima di arrendersi in Kuwait. Un massacro quasi dimenticato. Stragi di civili, come quelle dell’Isis oggi. – Il 13 novembre ha ripensato a quella strage avvenuta, trent’anni fa, a poche decine di metri da lui. «È una cosa incredibile, a Parigi quelle persone stavano sedute al bar e un attimo dopo una sventagliata di mitra le ha uccise. Come il 27 dicembre dell’ ’85 a Fiumicino». Elio Vergati aveva 46 anni e faceva il fotografo. Lo fa ancora oggi che ne ha 76 e vanta un secondo posto al premio Pulitzer e al World Press Photo. Sempre nella mitica agenzia Telenews che da decenni racconta quello che accade negli aeroporti romani di Fiumicino e Ciampino. «Ero nel nostro ufficio e sentimmo dei botti – racconta -. Si capì subito che erano bombe a mano e la gente scappava da tutte le parti. Ho preso la macchina fotografica e ho fatto di corsa i 100, 150 metri di distanza dai check-in dell’El Al e della Twa. Una sparatoria tremenda, ma sarà durata un minuto, non di più». È la strage di Fiumicino: 4 terroristi palestinesi tirano bombe e sparano sulla gente in fila all’imbarco o al bancone del bar, prima che tre di loro vengano uccisi dalla sicurezza della compagnia israeliana. «Sono intervenuti subito – ricorda Vergati -, il quarto terrorista è stato catturato da un poliziotto italiano e ha rischiato il linciaggio». Una foto del reporter mostra il diciottenne Khaled Ibrahim portato via da un agente. Una delle tante esclusive scattate quel giorno da Vergati. «C’erano tanti feriti in terra, sangue, gente che chiedeva aiuto e si lamentava, una scena pazzesca – racconta -. Mentre scattavo le foto cercavo di rassicurarli, che i soccorsi sarebbero arrivati. Ma ti senti impotente. I primi feriti li hanno portati via con i carrelli dei bagagli. Ricordo una donna con il ginocchio aperto, poi ho saputo che è morta. Tra le vittime una ragazzina di 12 anni figlia di un giornalista americano». «Gli israeliani erano preparati, come sempre, loro difendevano i loro voli – dice il fotografo – due agenti italiani sono arrivati poco dopo. Dell’allarme lanciato dai servizi italiani si è saputo in seguito». Secondo alcune fonti gli addetti alla sicurezza dell’El Al – in realtà corpi speciali – avrebbero finito i tre palestinesi con un colpo alla nuca e poi sarebbero subito partiti per Israele. «NOn lo so. Può darsi. Non li abbiamo più visti», dice Vergati che ricorda però che un palestinese aveva un foro sulla nuca e un rivolo di sangue. «La cosa più incredibile è che dopo la strage hanno chiuso l’aeroporto una mezz’ora massimo, poi è stata messa una paratia per non far vedere quel settore e hanno ripreso a fare biglietti – dice Vergati -. E la gente si lamentava che perdeva l’aereo». «Eravamo così vicini alla sparatoria, abbiamo trovato dei proiettili nel vetro dell’ufficio – ricorda -. La paura non la senti quando fai le foto, ti viene dopo, ti tremano le gambe e pensi ‘ma che sò matto?’». Quella del resto era la seconda strage a cui Vergati assisteva in diretta al Leonardo Da Vinci. Il 17 dicembre 1973, 12 anni prima, un commando arabo gettò bombe incendiarie dentro un aereo della Pan Am fermo sulla pista: 30 morti bruciati. «Anche allora ero in ufficio e sentimmo le esplosioni – racconta -. Corsi dietro un agente con il mitra e mi piazzai dietro una colonna a fotografare. I terroristi erano a 40 metri e le pallottole fischiavano vicine». Vergati scattò la foto di un finanziere morto sulla pista «che arrivò seconda al Premio Pulitzer». Oggi Elio Vergati è ancora lì, lavora all’aeroporto di Fiumicino che nei decenni è molto cambiato, ma non è cambiato il modo in cui lui lavora. Con il suo compagno di lavoro di sempre Nevio Mazzocco, insieme allo storico direttore Lamberto Magnoni e a un collaudato gruppo di giornalisti sono conosciuti da tutti e conoscono tutti. Rimangono un punto di riferimento fondamentale per Fiumicino. Oggi come allora.

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