Primarie, affluenza e risultati riaccendono lo scontro nel Pd. Ma per Renzi "il caso è chiuso" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Primarie, affluenza e risultati riaccendono lo scontro nel Pd. Ma per Renzi “il caso è chiuso”

– Una direzione per discutere, nella sede opportuna, dell’esito delle primarie di domenica e per ribadire alla minoranza che in tempi di campagna elettorale non si rema contro il Pd. Matteo Renzi prova così a chiudere sul nascere un nuovo caso primarie all’indomani di quelle che, a Roma e Napoli, hanno riacceso lo scontro interno. La sinistra Pd, a pochi giorni dalla kermesse che la vedrà riunita a Perugia, torna infatti sugli scudi accusando il premier e segretario di mal gestire il partito e indicando il dato dell’affluenza a Roma come specchio di «un disagio» di una parte degli elettori. Ancora una volta, quindi, l’esito delle primarie diventa un ‘casus belli’ nazionale provocando un nuovo strappo tra la maggioranza Dem e la sinistra. Del resto, all’indomani dell’annuncio delle vittorie di Roberto Giachetti a Roma, le primarie risultano adombrate da un duplice fattore: quello del dato dei votanti a Roma, difeso dalla maggioranza Dem ma perlomeno dimezzato rispetto al 2013. Segno del fatto che, dopo quelle per le Regionali liguri, le primarie Dem rischiano di inciampare in nuovo esito in ‘chiaroscuro’ con la minoranza ancora una volta in trincea. «C’è inquietudine, dobbiamo parlare al nostro popolo», sottolinea in mattinata il leader della minoranza Pd Roberto Speranza rilanciando un concetto già rimarcato ieri e tornando sulle parole del presidente del Pd Matteo Orfini, che individuava il basso dato dell’affluenza a Roma nell’assenza di «truppe cammellate e capibastone». «Un po’ più di umiltà e un po’ meno di arroganza sarebbe utile», pungola Speranza laddove Gianni Cuperlo, pur usando toni più morbidi, mette nel mirino la gestione generale del Pd e quel doppio incarico di Renzi che, a suo parere, oggi non consente «una gestione del Pd». Tutti temi che torneranno certamente a galla nella direzione convocata il 21 marzo da Orfini. «Siamo in campagna elettorale, se avete voglia di venire a dare una mano, ne siamo lieti. Se volete continuare a giocare al congresso fate pure. Ma non ve la prendete se non risponderemo più. Abbiamo da vincere le elezioni nella capitale d’Italia», scandisce Orfini rivolgendosi alla minoranza e archiviando la richiesta di un congresso anticipato che, nel medio periodo, non può essere tuttavia del tutto escluso. Anche perché l’ennesimo scontro interno è ormai sul tappeto. «Ascolteremo la relazione del segretario e risponderemo con gli stessi toni», avverte un esponente della minoranza che a Perugia, da venerdì a domenica, definirà una tappa cruciale in vista proprio del congresso. E se la minoranza si riorganizza la sinistra extra Pd, sull’onda delle primarie romane, cerca spazio, provando ad allargare il campo. Oggi potrebbe essere previsto un incontro risolutorio tra Ignazio Marino e Massimo Bray per definire un eventuale ticket che andrebbe ben oltre la candidatura di Stefano Fassina. Ed è soprattutto la discesa in campo dell’ex ministro Bray a tenere banco anche perché, tra i parlamentari, più di uno intravede l’ombra lunga di Massimo D’Alema (sia Marino sia Bray erano dalemiani). Ma se Fassina nega qualsiasi passo indietro («faremo le primarie») e la minoranza Pd sembra respingere qualsiasi tentativo di Opa giurando sostegno a Giachetti, all’ex ministro del governo Letta arriva, chiaro, anche l’avvertimento della maggioranza Dem: «è stato un ministro e deputato Pd, non si presti ad un’operazione contro il partito», sottolinea il renziano Andrea Marcucci.

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