Un consiglio per Virginia Raggi. Realpolitik non significa venire a patti - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Un consiglio per Virginia Raggi. Realpolitik non significa venire a patti


Siamo andati alle urne, il 5 e il 19 giugno, per mettere fine il più rapidamente possibile a un’ “assenza di governo” di Roma che non durava soltanto dalle dimissioni di Ignazio Marino ma da molto di più, almeno dall’elezione, tre anni fa, del Marziano poi auto dimissionato dal suo stesso partito, il Pd.

L’attesa era grande e, secondo gli esperti di flussi elettorali, ha dirottato sui candidati del M5S una parte di voti anche di elettori che grillini non sono ma hanno visto nello sperato successo dei Cinquestelle la strada più veloce per portare alla guida della città un candidato eletto all’insegna del “se arriviamo noi cambiamo tutto”. I Cinquestelle hanno effettivamente vinto, ed hanno conquistato il Campidoglio, un autentico trionfo. Tutto cambiato, allora? E il governo della città? Lì, va detto, siamo ancora a “Carissimo amico…”. La giunta grillina è stata promessa per il 7 luglio, gli immediati e drastici interventi di “salute pubblica” di cui Roma ha bisogno per estirparsi dal marciume di Mafia Capitale non si intravvedono neppure. E le poche dichiarazioni perentorie, come “via i vertici dell’Ama”, “no allo stadio della Roma”, e quel “no alle Olimpiadi” che ha infiammato gli ultimi giorni della campagna elettorale, sembrano destinate a rimanere lettera morta ancora a lungo se non a trasformarsi in “sì”. Alto-là: non si tratta, per noi, di sparare su Virginia Raggi e sulla sua costituenda Giunta. Quel che vogliamo dire è che si sta verificando ciò che avevamo previsto: una cosa è conquistare il potere, un’altra è realizzare le promesse, alcune espressione di evidenti necessità, altre dalle chiare radici demagogiche ma necessarie per vincere, cioè acchiappare il maggior numero possibile di voti. A Roma, dove la situazione è da allarme rosso in tutti i settori, al punto che si è pensato che nessuno dei partiti in gara volesse poi realmente vincere, siamo alla “mission impossible”. La sindaca non può dire che non lo sapeva, ma le va dato atto che le informazioni in possesso delle opposizioni prima delle elezioni erano approssimative e una prima occhiata alle carte capitoline ha rivelato una realtà ancora peggiore. E’ il caso dei conti, ma anche delle partecipate, e delle molte cooperative che spesso nascondono soltanto amici-degli-amici. Assurdità di cui si parla da anni – come gli spazi pubblici “regalati” per poche migliaia di euro per spettacoli privati che di euro ne fanno girare centinaia di migliaia – che si pensava fossero problemi ormai risolti, sono ancora la regola Uno scandaloso malcostume e lacci e lacciuoli di una burocrazia fatta apposta per favorire chi comanda, che Virginia Raggi e quella parte della sua squadra che è già operativa stanno scoprendo giorno dopo giorno, documento dopo documento. E che, anche se ci fosse la nuova giunta, impedirebbero a Virginia di marciare speditamente verso quel risparmio di un miliardo di euro che, prima delle elezioni, aveva promesso come immediato, in modo da poter procedere senza perdere tempo ad affrontare i problemi più urgenti, dal degrado alle buche al sociale. Un aiuto, sembra di capire, la Prima Cittadina l’ha avuto soltanto dai documenti che le ha passato il commissario di governo, Tronca. Ma manca un quadro generale esaustivo delle entrate e delle uscite e, soprattutto, quante di queste entrate e di queste uscite sono regolari. Le case del Comune date in affitto ma che non producono alcune entrata, le case popolari occupate, sono un esempio illuminante. Sappiamo tutti che molti “furbetti” ne hanno approfittato, ma sembra che non ci siano mezzi che permettano al Comune di recuperare ciò che gli è stato rubato. E neppure per cacciare chi per anni, e magari decenni, non ha mai pagato prima una lira e poi un euro. Si tratta di difficoltà oggettive che sta incontrando a Torino, una città comunque gestita meglio di Roma, anche Chiara Appendino, che ha sconfitto l’ex ministro e diessino di rango Piero Fassino. La giovane bocconiana appena eletta aveva dato gli otto giorni al presidente della Compagnia di San Paolo, il finanziere Francesco Profumo, nel cui ufficio si incontravano gli interessi del Comune e di molte aziende private e banche. La risposta è stata un educato ma fermo “marameo”. Ed ha dovuto abbozzare, per una del resto comprensibile ragione di “realpolitik”: la San Paolo distribuisce sul territorio della Città metropolitana piemontese centinaia di migliaia di euro all’anno che sono posti di lavoro. La nostra impressione è che la stessa cosa finirà con il fare, a Roma, Virginia. Non un tradimento delle promesse elettorali ma un intelligente realismo, in un contesto sociale complesso che, se affrontato soltanto “di pancia” rischierebbe di far fallire ogni sforzo di cambiamento. Il caso dell’amministratore delegato di Ama, Daniele Fortini, è stato il primo risultato di un’”autocritica della ragione” che non rimarrà sicuramente isolato. Anzi, lo ha già fatto. Sulle ali dell’entusiasmo innovatore aveva affermato che Fortini, visto lo stato in cui versa Roma per quanto riguarda la pulizia, le avrebbe fatto un piacere ad andarsene. L’Ad aveva anche dato le dimissioni, quando Virginia lo ha riconvocato e si è trasformata in Virginia2: “I dirigenti delle municipalizzate devono assumersi le loro responsabilità, prima di dimettersi”. Fortini resta: ma a giorni dovrà presentare un piano di ritorno alla normalità per quanto riguarda la raccolta dei rifiuti. La stessa linea sembra svilupparsi sul caso dello stadio della Roma a Tor Vergata. Prima del voto la candidata grillina aveva definito “criminale” la scelta del suo predecessore di organizzare a Roma i Giochi del 2024. Prima categorici del “no”, i Cinquestelle sono però diventati negli ultimi giorni più possibilisti; dal “c’è altro da fare” del futuro assessore alla urbanistica Paolo Berdini al sostanziale via libera del deputato Luigi Di Maio, premier in pectore del M5S se vinceranno le elezioni politiche. Il fatto è che i grandi costruttori romani – i “palazzinari” che hanno costruito la Roma che oggi tutti definiscono decisamente brutta – sono presenti ovunque, senza il loro consenso qualsiasi progetto ha grandi chance di andare all’aria. Saggia anche qui la decisione della Raggi – prima l’ordinario, cioè far funzionare la città – poi lo straordinario cioè, se Roma dovesse essere scelta dal CIO, le Olimpiadi. “L’importante è che si rispettino le esigenze dei cittadini e la trasparenza” – dice Virginia Raggi. Lo aveva fatto, due anni fa, il sindaco di Modena Pizzarotti: eletto per impedire la costruzione di un inceneritore, lo ha poi fatto realizzare perché serviva alla città. I modenesi hanno applaudito, il M5S lo ha espulso. La necessità di non prendere di petto tutto ciò che a Roma non va non spiega comunque alcune “lacune” dalla parte dei Cinquestelle. L’impressione è che i loro programmi elettorali, a Roma come altrove, siano tarati su principi generali, e spesso generici, che in campagna elettorale fanno effetto ma che poi è difficile calare nella realtà, questo soprattutto perché gli “addetti ai lavori” che i grillini mandano a casa, cioè i partiti sconfitti, lungi dal collaborare fanno muro, cercando in ogni modo di mantenere almeno una parte del potere che stanno per perdere. A questo fanno pensare, a molti, le inchieste aperte sulla sindaca: quella sulle sue consulenze per l’Asl di Civitavecchia, che secondo il Pd avrebbe reso pubbliche in ritardo rispetto ai termini di legge, e quella – per il momento soltanto annunciata – che potrebbe esserci per la sua decisione di nominare capo di gabinetto Daniele Frongia, che per questo si dovrà dimettere ma, secondo alcuni giuristi, prima di assumere il nuovo incarico dovrebbe rimanere in panchina almeno un anno. E in più c’è un’amministrazione capitolina che sta franando: non passa giorno senza che ci sia un nuovo “caso”, che parta qualche avviso di garanzia per corruzione o mala gestione. Cari grillini, fate presto!!!!

di Carlo Rebecchi

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