L’onestà non basta. Servono strategie e i grillini forse non ne hanno - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

L’onestà non basta. Servono strategie e i grillini forse non ne hanno

campidoglioSenza strategia. Cioè allo sbaraglio. Per incapacità o ignoranza. Sono alcuni dei giudizi che si ascoltano con sempre maggiore frequenza sul M5S capitolino. L’entusiasmo iniziale si è trasformato nell’attesa, sempre più nervosa, di una qualsiasi prova di vitalità, della fine di una politica del non-fare che sembra, ad oggi, la cifra della Giunta Raggi. Per molti il sindaco sta dilapidando il bonus vinto con quel quasi 70 per cento di consensi che nel giugno scorso le ha aperto le porte del Campidoglio, primo sindaco donna della storia di Roma. C’è chi comincia a pensare che sotto i soliti e sacrosanti slogan dei Cinquestelle, a cominciare da quello inizialmente più apprezzato (“Onestà, Onestà, Onestà”) possa esserci poco o nulla; o meglio, che ci sia l’incapacità di governare una città afflitta da problemi complessi, e forse addirittura irrisolvibili, come quelli della Capitale. In altre parole, c’è chi sta sempre più convincendosi che l’onestà venga invocata per scusa per non fare quello che non si sa fare.
Queste considerazioni sono generate da diverse delle questioni sulle quali la Giunta Raggi è stata chiamata a pronunciarsi, dalle più visibili – come la candidatura di Roma all’organizzazione delle Olimpiadi del 2014 – a quelle non di livello mondiale come i Giochi olimpici ma che sono cruciali per la vita dei cittadini che hanno eletto i Cinque stelle al Campidoglio: per esempio le buche, i trasporti pubblici, la spazzatura. A guardare dal di fuori, la Giunta Raggi dà l’impressione di non avere il coraggio di procedere alle innovazioni che pure aveva promesso in campagna elettorale. Al contrario, sembra essere condizionata nel senso della conservazione: cambiare il meno possibile. Lo si vede sulle decisioni prese su vari aspetti dell’organizzazione capitolina, nei rapporti con i dipendenti comunali e dei loro sindacati, nei rapporti con le categorie: non era previsto che i pullman turistici rimanessero fuori dal centro storico? E camion bar e gladiatori non avrebbero dovuto essere allontanati dai monumenti che sono il prestigio di Roma agli occhi del mondo?
Esempi di comportamenti del genere ce ne sono stati, e ce ne sono tuttora, a bizzeffe; e questo sta cambiando la percezione che si ha del sistema di apparente non-fare dei Grillini. Il primo grande “no”, quello alla candidatura olimpica della Capitale, è stato accolto con apparente soddisfazione dal romani. Anche coloro che erano favorevoli, si sono immedesimati nel sindaco e, facendole credito, hanno ammesso che la soluzione dei problemi che ogni giorno affliggono i romani è sicuramente più importante del “sogno olimpico”. Poi è giunto lo stop al completamento della linea “C” della metropolitana. Tra le motivazioni addotte, quella che quel progetto è stato al centro di episodi di corruzione che non si devono ripetere. E qui i romani hanno cominciato a chiedersi se, per essere onesti, si debba rinunciare a intraprendere qualsiasi iniziativa per la quale passano soldi. Perplessità che accompagnano l’atteggiamento dei Grillini anche a proposito di un altro progetto ora in discussione, quello del nuovo stadio della AS Roma.
James Pallotta è un uomo che ha comperato l’ AS Roma per sfruttare il fascino che Roma esercita nel mondo e, quindi, utilizzarla per un business planetario. Fin dall’inizio ha chiesto di poter costruire un nuovo stadio a sud di Roma, zona Tor di Valle, con annessi centro direzionale e centro commerciale, e edifici , fra cui tre grattacieli, distribuiti su una superficie di 62.000 ettari. Un investimento (pagato dai privati) di più di un miliardo e mezzo che, secondo alcuni studi, drenerebbe in dieci anni su Roma venti miliardi di euro. E la cui costruzione darebbe lavoro per anni ad almeno diecimila persone. La Soprintendenza per l’archeologia, le belle arti e il paesaggio ha appena espresso una serie di rilievi durissimi al progetto e all’iter seguito. In particolare, una parte della documentazione, richiesta già nel 2014, non sarebbero stata fornita. Ancora più duro l’assessore capitolino all’urbanistica Paolo Berdini, per il quale la scelta di Tor di Valle “è stata una follia messa in conto all’amministrazione pubblica”. Per rendere accessibile lo stadio, i promotori del progetto chiedono un ponte sul Tevere che per Berdini è inutile in quanto “abbiamo già il Ponte dei congressi”. L’assessore grillino esclude anche che il comune possa finanziare un aggancio dello stadio alla metropolitana e i “parcheggi pubblici di dimensioni gigantesche”, tagli che porterebbe a “220 milioni di euro di costi”.
Non siamo noi i tecnici che possono dire, in quattro e quatt’otto, se i conti giusti sono quelli di Pallotta o quelli del Comune. Quel che ci preme dire è che anche sullo stadio della Roma i Cinquestelle dicono e si contraddicono senza mai che sia chiara la loro strategia. Se ne hanno una. Quello che dovrebbero fare è di studiare il progetto Pallotta e di guardare se ci sono migliori alternative, e di sottoporle poi, una volta scelto il progetto (o i progetti) ritenuto il più conveniente per tutti, al parere dei cittadini. Invece di parlare “politichese” sarebbe forse più semplice spiegare il “no” al Centro direzionale proposto ora da Pallotta ricordando che il Comune ha già finanziato negli anni Sessanta un altro Centro Direzionale, il Sistema Direzionale Orientale (SDO) che è già costato un miliardo di euro: quale dei due verrebbe scelto per diventare una Cattedrale nel deserto? Ma bisogna anche che i Grillini capiscano che non possono considerare tutti coloro che non sono come loro, ed in generale le aziende private, come dei potenziali corrotti, degli appestati assieme ai quali non si può realizzare nessun progetto. Il ripetersi con lo stadio giallorosso di un “no” come quello alle Olimpiadi solo in parte motivato, potrebbe spingere molti a considerarli dei “talebani” con i quali è impossibile una gestione condivisa e partecipata della cosa pubblica, si tratti oggi di Roma e domani, magari, del Paese. Con i rischi che questo comporta, anche per loro. Carlo Rebecchi

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