Violenza di genere e Femminicidio - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

Violenza di genere e Femminicidio

linacaputoPrima di iniziare a scrivere questo articolo mi sono posta il problema del dove volessi arrivare con queste mie parole, perché non sempre si arriva dove si vuole.

Di certo non ho la pretesa di smuovere alcuna coscienza, perché i destinatari della mia “denuncia sociale” non credo abbiano una coscienza.

Credo, e spero, invece, che queste mie righe raggiungano la missione di denunciare una situazione di degrado umano – che purtroppo sta assumendo sempre più i tratti di un “fenomeno sociale” – e di far capire che una tutela legale per queste vittime dell’involuzione dell’uomo esiste e va invocata.

Sembra sempre meno scioccante sentire al telegiornale la notizia che un uomo abbia ucciso la moglie, i figli, ovvero la fidanzata e non deve essere così, non ci si deve scioccare di meno ma vergognare di più.

Ho parlato di fenomeno sociale, ma in tutto ciò di sociale non vi è nulla.

Vorrei far sentire meno sole le donne che vivono questo “degrado” familiare, per poi indirizzarle su come aiutarsi (e farsi aiutare) a vivere … evitando loro, quindi, di iniziare a morire.

Siamo le vostre madri, le vostre mogli, le vostre sorelle, anche le vostre amanti, ma prima ancora siamo “donne” e prima prima ancora “persone” e in quanto tali meritiamo rispetto.

Non vado a scomodare sentimenti ma semplicemente un concetto che forse gli animali hanno più chiaro di noi, il rispetto.

E’ bene quindi che qualcuno spieghi, e sono contenta di farlo io in questa sede, che il nostro ordinamento assicura una tutela per queste donne vittime di violenza e che una legge c’è.

Proverò a spiegarvela, perché qualsiasi fenomeno lo si combatte conoscendolo.

La c.d. legge sul femminicidio (d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv., con mod., dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119) ha introdotto nel settore del diritto penale sostanziale e processuale una serie di misure, preventive e repressive, per combattere la violenza contro le donne per motivi di genere (maltrattamenti, stalking, percosse, lesioni sino ad arrivare, nei casi più gravi, all’omicidio).

Quanto al femminicidio, che racchiude il concetto culturale di violenza di genere, è un’espressione che descrive il fenomeno con riferimento alle sue basi empirico-criminologiche, ponendo in risalto la posizione o il ruolo dell’autore.

L’interrogativo che in questi anni, costellati da episodi di cronaca gravissimi, sta tormentando gli operatori del diritto riguarda l’opportunità o meno di introdurre all’interno del nostro ordinamento, in aggiunta a quella letteralmente e politicamente “neutra” di omicidio, una fattispecie di reato ad hoc di femminicidio, da intendersi come omicidio commesso da uomini ai danni di donne “in quanto tali”, dunque in un significato specifico che non include tutte le uccisioni di donne, per qualsiasi causa e in qualsiasi contesto.

A prescindere dall’analisi del fenomeno sotto un profilo penale, ciò che dovrebbe realmente inquietare e smuovere le coscienze è la crescente fragilità dell’uomo ed il suo bisogno intrinseco di riaffermare il proprio primato nei confronti della donna, in ambito lavorativo, sociale e purtroppo all’interno delle molteplici dinamiche relazionali-familiari.

femminicidio3Il femminicidio è un fenomeno che caratterizza la nostra società e che solo negli ultimi anni è finito sotto la lente di ingrandimento dell’opinione pubblica e delle Istituzioni.

I dati statistici elaborati nel 2014 e contenuti nell’indagine Eu.r.e.s (Ricerche economiche e sociali) sulla violenza di genere, forniscono una fotografia della situazione italiana, anno 2013, e indicano che in quell’anno in Italia sono state 179 le donne uccise (il 35,7% dei casi di omicidio).

Le statistiche hanno confermato ciò che gli agenti di polizia e gli operatori del settore socio-assistenziale, legale e ospedaliero constatano ogni giorno ovvero che il femminicidio riveste per la maggior parte una dimensione domestica: oltre il 70% delle vittime è stata uccisa per mano di un familiare, del coniuge, del convivente, del fidanzato, dell’amante o dell’ex compagno.

Non vanno trascurati, tuttavia, nemmeno i casi di femminicidio avvenuti nell’ambito dei rapporti di vicinato, di lavoro o tra semplici conoscenti.

Il fenomeno è allarmante ed in continua crescita. Nell’anno 2015 il bilancio delle donne vittime è stato pari a 128; nei primi mesi dell’anno 2016 vi è stato solo un lieve calo, circa 116 casi ma,comunque, la fotografia della casistica rimane grave e sconcertante.

Dall’inizio del 2017 si contano circa 29 casi nonostante siano aumentate le denunce per atti persecutori (art. 612 Bis C.p.), lesioni (art. 582 C.p.) e maltrattamenti in famiglia (art. 572 C.p.)

Tale analitica digressione appare necessaria perchè si abbia una contezza concreta delle molteplici forme di violenza ai danni delle donne la cui recrudescenza è un segnale di una società che, gradualmente, sta tornando indietro nel tempo.

Purtroppo i casi di femminicidio molte volte sono la “conseguenza” di separazioni non accettate dal partner, che si tratti di un marito o, semplicemente, di un fidanzato “geloso”.

E’ nel contesto delle separazioni che naviga maggiormente questo triste fenomeno, che porta con sé una serie di situazioni indegne.

Situazioni in cui le condizioni economiche che cambiano drasticamente, la gelosia, la perdita di controllo innescano un meccanismo per cui si arriva anche a sostituire il rapporto genitoriale con i propri figli con un altro tipo di rapporto strumentale, in cui i figli non sono più percepiti ed amati come tali ma utilizzati come strumento per colpire l’”altro/a”.

Noi avvocati dovremmo essere chiamati, in sede di separazione, ad un lavoro molto più articolato della pura e tortuosa redazione di un ricorso. Dovremmo, infatti, cercare di arginare – per quanto possibile – gli stati di esasperazione che contraddistinguono un evento così traumatico come la separazione.

Evento questo che richiede, come per qualsiasi lutto, un tempo di metabolizzazione di almeno un anno durante il quale tutte le persone coinvolte avrebbero bisogno di un supporto psicologico.

La gente impazzisce e uccide.

Credo sia questo uno dei più grandi fallimenti del genere umano.

Mi capita spesso di assistere a scene in cui il rispetto tra due persone – che si sono giurate amore eterno ed hanno messo al mondo dei figli – è sepolto da una serie di insulti e gesti e paure e vendette.

Ed è l’insulto l’anticamera della violenza. O, meglio, la sua prima esternazione.

Credo fermamente che l’insulto e la denigrazione di una donna da parte dell’uomo siano la forma di violenza più infima, quella che riceve meno tutela legale perché silente ma la più esasperante.

Non ci sono molte frasi da aggiungere – che non scadrebbero nel banale – in un contesto del genere.

Sicuramente inviterei ed inviterò qualsiasi donna a fuggire al primo insulto, alla prima mancanza di rispetto, al primo momento di paura, ma tante volte è difficile e le stesse volte… “si, ma ci sono i figli”. Certo, ci sono i figli, ma c’è anche la madre e va rispettata.

Mi è capitato di assistere donne che poi non si sono separate per paura di essere ammazzate e sono stata costretta a lasciarle nella loro prigione “d’oro” nell’impossibilità di aiutarle.

Ogni storia lascia in noi avvocati qualcosa. Che sia una sensazione, un episodio strano, un pianto, degli occhi spaventati, scene che non vorremmo mai vivere sulla nostra pelle. Sta di fatto che da qualunque parte stiamo dobbiamo aiutare i nostri assistiti a vivere questo momento non come l’ultimo gesto di vendetta da compiere ma semplicemente come la fine di un percorso di vita. Che porti con sé dignità e rispetto.

Al di fuori di questi concetti c’è ormai la legge dell’inciviltà dove “l’ho ammazzata perché mi ha lasciato”, laddove manca un sentimento fondamentale che dovremmo portarci da bambini, la vergogna.

Ormai l’aumento dei femminicidi dovrebbe farci riflettere e continuare a sconvolgerci.

Di fronte ad una situazione così emergenziale, l’intervento del legislatore del 2013 è stato il frutto di una duplice esigenza: contrastare la violenza di genere (e tutelare le vittime) da una parte e prevenire ipotesi di femminicidio dall’altra.

Ciò ha comportato un intervento tanto sul diritto penale sostanziale quanto su quello processuale.

Per quanto concerne l’aspetto punitivo nei confronti degli autori della violenza contro le donne, sono stati introdotti: un aggravamento sanzionatorio nell’ipotesi in cui i reati di maltrattamenti in famiglia e di violenza sessuale si siano consumati in presenza o ai danni di minori degli anni 18 oppure ai danni di donne in stato di gravidanza (art. 61 comma 11 quinquies codice penale) ovvero quando l’autore della violenza sessuale sia il coniuge – anche separato o divorziato – o colui che sia stato legato alla vittima da relazione affettiva anche in assenza di convivenza (art. 609 ter comma 5 quater codice penale); l’estensione dell’ambito di applicazione delle aggravanti del reato di atti persecutori (stalking): l’aumento della pena si applica non solo al coniuge legalmente separato o divorziato, ma anche al coniuge “separato di fatto” o al soggetto legato alla vittima da relazione affettiva (art. 612 Bis, comma 2, C.p.)

Avuto riguardo, invece, a quelli che sono gli strumenti di tutela a disposizione delle vittime: l’impossibilità di remissione della querela sporta per il reato di atti persecutori nel caso in cui se la condotta delittuosa sia stata posta in essere con minacce reiterate e gravi (ad esempio attraverso l’uso di armi ex art. 612, comma 2, C.p.); l’applicabilità dell’ammonimento del Questore non solo agli autori di atti persecutori, ma anche ai responsabili dei reati di percosse o lesioni; la facoltà degli agenti di polizia giudiziaria di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero e in caso di flagranza di gravi reati (quali lesioni gravi, minaccia aggravata e violenza sessuale), l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima (art. 384 Bis proc. Pen.), ove sussistano fondati motivi di reiterazione delle condotte criminose con grave ed attuale pericolo per la vita o l’integrità fisica/psichica della persona offesa; l’utilizzo del braccialetto elettronico per controllare chi è stato allontanato dalla casa familiare; la garanzia di segretezza circa l’identità di chi compie una segnalazione alle forze dell’ordine; la fruizione del patrocinio a spese dello Stato senza limiti di reddito per le vittime di atti persecutori, di maltrattamenti in famiglia e di mutilazioni genitali femminili.

Un altro aspetto che, ad avviso di chi scrive, non può essere trascurato e che consente di avere una visione a 360 gradi del problema attiene alla tutela degli orfani ovvero dei figli di queste, il più delle volte, drammatiche faide familiari.

Costoro, spesso trascurati dalla pubblica opinione e dagli operatori del diritto, sono dal 2000 ad oggi circa 1600. Un numero imbarazzante.

Sono coloro che perdono sia la madre che il padre: la prima, vittima dell’ennesimo caso di femminicidio, l’altro, autore del delitto, che espia le sue colpe con il carcere o il suicidio.

Gli orfani di una strage, che nel nostro Paese miete più vittime della mafia, non solo dovranno affrontare il dolore lancinante di una doppia perdita ma saranno costretti, altresì, ad iniziare una seconda vita e tutta in salita costella purtroppo da ostacoli quali le palesi difficoltà nel trovare una nuova famiglia e un sostegno da parte delle istituzioni ovvero le delicate ripercussioni da un punto di vista economico e socio-assistenziale.

Su questi spunti di riflessione siamo chiamati inevitabilmente a riflettere.

La strada da percorrere per garantire una piena tutela delle donne è ancora lunga, ma un aspetto senz’altro positivo è che la legge n. 119/2013 ha dato ampio spazio all’attività dei Centri anti-violenza e delle associazioni per i diritti femminili: realtà che svolgono un ruolo fondamentale nella prevenzione del femminicidio e nel supporto alle donne vittime di abusi e di maltrattamenti.

Direi che quando diciamo frasi del tipo “non lo farà più”, “cambierà”, “pensavo che con me sarebbe cambiato” e quando ci sentiamo dire “ti ho picchiato perché tu mi ha costretto a farlo” “l’ho fatto perché ti amo” sono quelli i momenti in cui dobbiamo fuggire perché inizia esattamente così la fine.

Datevi nuovi giorni, datevi nuovi inizi!

Lina Caputo
Patrocinante in Cassazione

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