“Ciaccerata” allo Spallanzani, momenti d’arte fuori dagli schemi - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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“Ciaccerata” allo Spallanzani, momenti d’arte fuori dagli schemi

ciaccierataEntrando nei prossimi giorni all’Ospedale Spallanzani noteremo appeso al muro dell’ingresso una grande tavola colorata, fatta di pezzi di stoffa uniti insieme che compongono un Totem, detto anche Sabir. Vicino all’opera ci sarà un cartello con la spiegazione e le firme di tutti coloro che hanno partecipato alla sua composizione.Il Sabir è una lingua spontanea nata fra l’epoca delle Crociate e il XIX Secolo fra i mercanti del Mediterraneo, un misto di arabo, francese, italiano, spagnolo, occitano, greco e turco. Queste lingue del “Petit Mauresque” si sono fuse fra gli uomini di quel tempo che andavano per mare in un linguaggio di “servizio” che serviva a tutti coloro che vivevano il Mare Nostrum che collegava, come è oggi, il mondo in “pace” con quello in guerra. Per più di mille anni il Mediterraneo è stato invece autostrada, porto, crocevia di culture, storie, popoli, soldati e mercanti. Il nome “Sabir” è probabilmente una storpiatura della parola “Saber” cioè sapere. Ma quando gli uomini sono in mare chi tiene i rapporti sociali sono le donne, fanno rete e chiacchierano.Ed ecco l’idea approdata all’INMI Spallanzani che ha ospitato due artiste, Ada Perla e Luigia d’Alfonso, che desiderano trasmettere l’amore per l’arte e portare i murales negli edifici dove ci può essere bisogno di momenti di aggregazione e di colore, nutrimento per l’anima. Seguite dalla curatrice del progetto, Penelope Filacchioni, gallerista, hanno portato all’interno della struttura ospedaliera l’idea accolta con entusiasmo dal Direttore Generale Marta Branca
Vanessa Steffer

 

L’INTERVISTA/ Parla Marta Branca, direttore generale dello Spallanzani

Anche la bellezza aiuta a curare”

branca2A Marta Branca, direttore generale dello Spallazani abbiamo chiesto, a margine della “ciaccerata” ,quanto sia complicato trovare un linguaggio utile in questo contesto. Per dirigere una struttura come questa ci vuole concretezza, dove il continuo confronto con gli uomini, con la politica gestita prevalentemente anche da uomini guardinghi, determinati e attenti alle virgole, non è semplice.

Che tipo di linguaggio usa per comunicare con loro?

Questo è un Istituto di ricerca piccolo ma d’eccellenza che si occupa di malattie infettive a livello regionale, nazionale ed internazionale. Certamente per una donna dirigere un Istituto del genere dove ci sono molti uomini e soprattutto molti uomini in posizioni di vertice quali primari, direttori, è una sfida costante. Noi donne dobbiamo dimostrare ogni giorno di essere all’altezza ed è sempre più facile sentirsi dire dietro che hai ottenuto quel posto per chissà quale motivo. I pregiudizi da superare non mancano. Ma il mio è un bell’ambiente e sono fortunata, pieno di eccellenze e di magnifiche professionalità mediche e di laboratorio, quindi mi confronto con persone competenti e di livello. Ho un piglio determinato e credo di essere considerata una donna dal carattere forte ed equilibrata, ascolto tutti ed accetto sia i suggerimenti che le critiche e cerco di migliorare laddove necessario.

Cosa ne pensa dell’approccio olistico alle malattie?

Questo è un ospedale dove è necessario l’approccio multidisciplinare alle numerose patologie che ci troviamo ad affrontare e che sono diverse e soprattutto croniche. Le persone vengono qui per tanti anni, noi siamo un costante punto di riferimento per loro, dobbiamo avere quindi un approccio globale. Alcuni arrivano a delle età molto avanzate ed hanno delle problematiche connesse e abbiamo bisogno delle consulenze che riguardino più aspetti e quindi ci avvaliamo di altri professionisti di discipline che non sono presenti nel nostro Istituto. Stretta è ad esempio la collaborazione con il San Camillo Forlanini.Quindi cerchiamo di curare non solo il corpo e le patologie fisiche ma anche, per quanto sia possibile, di dare all’utenza che si rivolge a noi una cura globale che possa rasserenare anche l’anima, la psiche. Ci piace usare formule diverse, anche culturali di cura, con l’arte, attraverso la musica, lo sport, manifestazioni di vario genere.

In una struttura come la sua, dove ci sono malattie infettive importanti, come mai ha pensato di introdurre persone che da fuori portano tante energie, colori, arte, giovani, e addirittura scuole?

Proprio per migliorare l’aspetto psicologico dei pazienti. Per noi la bellezza, l’arte sono qualcosa che aiuta a curare e questo non è un modo di dire. La persona che osserva una cosa bella, che ascolta una buona musica, che si rasserena guardando uno spettacolo piacevole, ha tutto il suo corpo proteso verso un momento di serenità, quindi anche la patologia tende ad essere meno forte, la patologia tenderà ad allinearsi al resto e di questo ne abbiamo riscontro. Cerchiamo di fare quello che possiamo, come è successo con la ciaccerata, con poche risorse, grazie alla buona volontà delle artiste e di chi si offre di fare questi eventi e di chi viene coinvolto, anche i pazienti stessi, i ragazzi delle scuole, gli stessi dipendenti, per quei momenti di fantasia e di arte che, anche in un luogo come questo dove siamo abituati a vedere sofferenza, dolore e qualche volta anche morte, penso sia un momento di serenità che le persone hanno piacere di avere e che noi come amministratori dobbiamo offrire. Per me è importante accogliere la persona a 360 gradi e non soltanto per la patologia infettiva ma dando anche una speranza, offrendo una cura per l’anima oltre che per il corpo: questo è lo spirito che muove il mio impegno.

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