Spari al Tribunale, nessun controllo alla sezione civile | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Spari al Tribunale, nessun controllo alla sezione civile

– Nelle polemiche sulla sicurezza dei palazzi di giustizia dopo la strage di Milano, «torna» il tribunale civile di Roma, dove chiunque può accedere senza effettuare alcun tipo di controllo. Non vengono richiesti documenti, non ci sono metal detector, e facilmente si passa indisturbati davanti agli uffici delle forze dell’ordine. All’interno del tribunale civile della capitale, che comprende la sezione fallimentare e quella del lavoro, si può quindi girare indisturbati. Quello che chiunque può verificare, facendo un giro nei corridoi del tribunale, è la totale assenza di controlli: alcuni armadi che contengono gli archivi sono aperti, i fascicoli sono facilmente accessibili e alcune stanze sono aperte senza nessuno all’interno. «Un malintenzionato può entrare di mattina – racconta un magistrato fuori il tribunale – chiudersi dentro il bagno, aspettare qualche ora e poi dirigersi verso la stanza del magistrato che si vuol colpire. Davvero non c’era bisogno che morisse un collega che ha fatto solo il suo dovere per rendersi conto di questa situazione. Abbiamo paura, non ci sentiamo tutelati». Il magistrato, che ha chiesto l’anonimato, ha anche detto che sono anni che l’Associazione Nazionale Magistrati ha fatto richiesta di controlli efficaci, ma senza risultati. «A piazzale Clodio, sede della sezione penale del tribunale – racconta il magistrato – ci sono metal detector e ci sono altri tipi di controlli. E vengono identificate tutte le persone che entrano. Sono convinta che non esiste una differenza tra coloro che si occupano di materia civile e coloro che si occupano di materia penale. Entrambe le categorie vanno protette. Viviamo in un momento in cui le tensioni sociali sono elevate, sulla nostra categoria è stata concentrata un’attenzione ‘negativà, la gente ha una visione distorta di noi. Le persone non ci vedono più come baluardi della legalità, ma ci considera dei nemici. Questa è la cosa che fa male, quanto la morte di un collega. Come ha ricordato il presidente Mattarella, siamo una categoria che fa un lavoro delicato, che va tutelata, non esposta ai rischi». «Il vero problema è culturale e riguarda il rapporto tra la comunicazione e la magistratura», continua il magistrato. «A mio avviso è stato fatto un errore: la nostra deontologia professionale richiede di lavorare con dignità e soprattutto in silenzio. Quando siamo in udienza, ad esempio, ci è richiesto di non rispondere alle provocazioni, di rimanere composti. In Italia siamo migliaia di magistrati, pochissimi passati alle cronache per essersi esposti mediaticamente. Alla luce di quanto accaduto, però, devo ammettere che questo è stato un errore: se qui, al »civile« di Roma, avessimo coinvolto la stampa, per quanto riguarda le nostre richieste inascoltate di aumentare sicurezza e controlli, magari avremmo ottenuto qualche risultato».

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