Addio a Laura Antonelli, icona dal destino tormentato: da Malizia alla caduta di una stella | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Addio a Laura Antonelli, icona dal destino tormentato: da Malizia alla caduta di una stella

La parabola di Laura Antonelli: dagli allori della consacrazione a sex symbol del film di Salvatore Samperi Malizia, alla caduta nell’oblio, nella povertà, nell’indifferenza e nella sofferenza psichica. Laura Antonelli nasce il 28 novembre 1941 a Pola, attuale Croazia. Esordisce al cinema interpretando piccoli ruoli in film come Il magnifico cornuto di Antonio Pietrangeli (1964) e Le sedicenni di Luigi Petrini (1965). La sua prima parte importante è del 1969: il regista Massimo Dallamano la sceglie come protagonista del film Venere in pelliccia, che verrà censurato e riproposto sei anni dopo col titolo Le malizie di Venere. Nel 1971 gira Il merlo maschio, con Lando Buzzanca diretto da Pasquale Festa Campanile. Ma il successo arriva con Malizia nel 1973 di Samperi, in cui è una sensuale cameriera, accanto a Turi Ferro ed al giovane Alessandro Momo. Il film, campione d’incassi con 6 miliardi di lire, diventa un cult, facendo entrare per sempre la Antonelli nell’immaginario erotico degli italiani e innalzando l’attrice a icona sexy italiana. Indimenticabile la scena in cui la diva poggiata ad una scala mentre spolvera scopre le gambe mostrando le giarrettiere ad un inebetito e giovanissimo Alessandro Momo. Ottiene il Nastro d’Argento come migliore attrice protagonista e il Globo d’oro alla miglior attrice rivelazione. Nel frattempo arrivano film d’autore come Trappola per un lupo di Claude Chabrol, dove conosce Jean-Paul Belmondo (con il quale avrà una turbolenta relazione) Sessomatto di Dino Risi e Mio Dio, come sono caduta in basso! di Luigi Comencini (per il quale vince un secondo Globo d’oro), a film centrati su di lei, come Peccato veniale sempre di Salvatore Samperi o Divina creatura di Giuseppe Patroni Griffi (in cui interpreta una scena di nudo integrale di sette minuti). Nel 1977, L’innocente di Luchino Visconti e Gran bollito di Mauro Bolognini. Nel 1981 Passione d’amore di Ettore Scola, per il quale riceve una candidatura ai David come migliore attrice non protagonista. Per tutti gli anni Ottanta lavora in film comici o sexy: è nel cast all star di Grandi magazzini di Castellano e Pipolo e al fianco di Diego Abatantuono in Viuuulentemente mia di Carlo Vanzina. Sul finire del decennio approda in tv con due miniserie: Gli indifferenti (1988) e Disperatamente Giulia (1989), dirette rispettivamente da Mauro Bolognini ed Enrico Maria Salerno. La parabola ascendente si interrompe la notte del 27 aprile 1991, quando nella sua villa di Cerveteri vengono trovati 36 grammi di cocaina. L’attrice viene arrestata e portata nel carcere di Rebibbia dove rimane solo qualche giorno, a seguito della concessione degli arresti domiciliari. È condannata in primo grado a tre anni e sei mesi di carcere per spaccio di stupefacenti. Nel 2000 viene assolta dalla Corte d’appello di Roma, che la riconosce consumatrice abituale di stupefacenti, ma non spacciatrice. L’attrice ottiene il proscioglimento dalle accuse formulate nei suoi confronti e la non punibilità per i reati a lei ascritti. Nel 1991 esce Malizia 2000, seguito del film che l’aveva resa famosa 20 anni prima. Ma non ha il successo sperato e nel corso della lavorazione l’attrice si sottopone alle iniezioni di collagene al viso che le deturpano i lineamenti e la spinge a una nuova causa, con una richiesta di risarcimento da 30 miliardi di lire. Dopo 13 anni il Tribunale di Roma respinge la richiesta di maxi risarcimento, scagionando il chirurgo plastico, così come il produttore ed il regista citati in giudizio dai legali dell’attrice. Laura Antonelli scivola in una condizione di profonda sofferenza psichica, che ne determina il ricovero nel centro d’igiene mentale di Civitavecchia in più di un’occasione. Ciò spinge i legali dell’attrice a citare in giudizio il ministero di Grazia e Giustizia, chiedendo un adeguato risarcimento da parte dello Stato italiano per la propria assistita. Nel 2003, al termine del processo di primo grado, a Laura Antonelli viene riconosciuto un risarcimento forfettario di diecimila euro. Una somma per nulla adeguata al danno subito, sostengono i legali dell’attrice, che sottopongono il caso nche alla Corte Suprema dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. L’estenuante iter processuale si conclude con esito favorevole per Laura Antonelli, alla quale la Corte d’Appello di Perugia, con decreto del 23 maggio 2006, riconosce un risarcimento di 108.000 euro, più gli interessi, per i danni di salute e di immagine patiti a seguito della sua odissea giudiziaria, protrattasi per nove anni. – C’è il segno del fato e la volubilità degli dei nella storia artistica e personale di Laura Antonelli che ormai da molti anni aveva legato la sua vita al ricordo di un tempo glorioso da star e icona «sexy» del cinema italiano e che adesso se n’è andata in silenzio senza che nemmeno una persona cara le fosse vicina al momento della morte. Dal fatale 1991, quando in pochi mesi il mondo le rovinò addosso prima per uno sciagurato e sfortunato intervento di chirurgia estetica e poi per un doloroso processo per detenzione di cocaina, nessuno l’aveva più vista su un set e sempre più radi si erano fatti i suoi contatti con il mondo esterno, fino a ridurla in uno stato di prostrazione fisica e psichica che perfino l’Alta Corte di giustizia europea le riconobbe conseguente ai ritardi e alla contraddittorietà della giustizia italiana. Ma per un’intera generazione Laura Antonaz, profuga istriana nata a Pola il 28 novembre 1941, è stata la più intensa espressione di fascino, erotismo e sapore del proibito costruita dall’incerto star system nazionale degli anni ’70. Emigrata prima a Napoli e poi a Roma, insegnante di educazione fisica, timida bellezza da fotoromanzi, Laura Antonelli si avvicina al cinema con registi-talent scout come Antonio Pietrangeli («Il magnifico cornuto», 1964) e Luigi Petrini («Le sedicenni», 1965). Sono gli anni in cui il corpo femminile viene «sdoganato» al cinema sull’onda dei primi fremiti proto-femministi della Swinging London e di questi approfitta Massimo Dallamano per offrirle una parte da protagonista in «Venere in pelliccia» dal romanzo-scandalo di Leopold von Sacher-Masoch nel 1969. Il film viene bloccato dalla censura (ancora oggi è sostanzialmente invisibile la versione originale) e quando uscirà, nel 1975, col titolo «Le malizie di Venere», risulterà totalmente stravolto e irriconoscibile. Ma per la bella Laura, che nel frattempo il pubblico aveva conosciuto solo in qualche «carosello», rimarrà un segno del destino: la sua bellezza bionda, anomala e antica era destinata a incarnare un ideale femminile del maschio italiano ben diverso da quello delle tradizionali «maggiorate» e dalla stirpe delle donne mediterranee, da Sophia Loren a Monica Bellucci. Lei appartiene invece ad un altro mitico quartetto: quello delle istriane che aveva in Alida Valli il prototipo e poi avrebbe dato al nostro cinema la seducente Sylva Koscina e la maliziosa Femi Benussi (quasi coetanea di Laura e sua rivale in tante commedie erotiche degli anni ’70). «Sono bassina – diceva di sè -, un pò tondetta e ho le gambe piuttosto corte: chissà perchè piaccio?». Tutto questo però non mostrò Pasquale Festa Campanile esibendo la sua schiena («La più bella mai vista dopo Marylin» – diceva il suo partner Lando Buzzanca ne «Il merlo maschio» del 1971) e neppure Salvatore Samperi (altro regista «contestatore» degli anni ’60) che la scelse per «Malizia» nel 1973 esaltandone la seduttività casalinga in «Malizia». Fu un trionfo tanto clamoroso quanto inatteso e il film aprì le porte – oltre la volontà di autore e produttori – al filone della commedia erotica. Fu difficile da quel giorno per Laura Antonelli liberarsi da un clichè anche se a lungo volle smarcarsi da un modello che contrastava con il suo carattere e le sue ambizioni. A Parigi stava diventando una donna-copertina per il successo, a fianco di Jean-Paul Belmondo in «Trappola per un lupo» di Claude Chabrol e per la turbolenta relazione amorosa con il divo francese. In Italia restava la musa di Samperi per «Peccato veniale» (1974) ma cercava occasioni più prestigiose con Dino Risi («Sessomatto») e Luigi Comencini «Mio dio, come sono caduta in basso!». E tra il 1975 e il 1977 ebbe la grande occasione della sua vita: la elessero ad icona del cinema d’autore Peppino Patroni Griffi («Divina creatura»), Luchino Visconti («L’innocente») e Mauro Bolognini («Gran bollito»), contando sulla sua bellezza per arrivare al grande pubblico. Forse solo Visconti seppe aggiungere alla sua presenza scenica il lato segreto dell’attrice, la sua fragilità tormentata che celava un desiderio di normalità inespresso. Ma anche occasioni di prestigio come le due collaborazioni con Tonino Cervi nel segno di Molière (e di Alberto Sordi« tra »L’avaro« e »Il malato immaginario«) finirono nel calderone di una popolarità che guardava più alle sue gambe e al bellissimo fondoschiena che alla sensibilità del volto e delle emozioni. In verità chi volesse scrivere la storia del cinema italiano degli anni ’80 rintraccerebbe la grande fedeltà di Laura Antonelli ai »suoi« registi e ad autori di qualità: così si spiegano i sodalizi con Patroni Griffi (»La gabbia«), Bolognini (»La venexiana«), Ettore Scola (»Passione d’amore«). Come una nemesi tornò invece a Samperi in quel fatale 1991 per un remake del suo film più amato e chiacchierato: uno sfortunato »Malizia 2000« che non pagò al botteghino, le costò un volto sfigurato dalla reazione allergica alle iniezioni di collagene, segnò di fatto il suo addio agli schermi. Tre anni fa l’unico a chiedere onore e pietà per lei fu Lino Banfi. Tutto il resto fu silenzio.

Gli anni ’70 quando era una dea, gli anni ’80 delle commedie e poi giù a scendere, l’arresto per droga, il viso deturpato dalle punturine, la povertà. «Sto partendo per l’Argentina, ti voglio vedere, basta sentirci solo al telefono. Ma lei no, non voglio che vedi come sono ridotta, ma io riuscii a convincerla. Era il 2007 credo» dice in un’intervista all’ANSA Lino Banfi raccontando la sua amicizia con Laura Antonelli. L’attore è commosso, la conosceva bene, l’aveva aiutata, «non abbastanza» si rimprovera adesso lui. «Andai a Ladispoli, fu un momento drammatico, era ridotta malissimo fisicamente, abitava in un posto che era una catapecchia, in cucina c’erano i pacchi di pasta della Caritas, ascoltava la radio, non aveva la tivù. Ci abbracciammo, piangemmo insieme, lei era disperata e io le promisi aiuto». Banfi racconta di essersi fatto promotore «presso Berlusconi e il ministro di allora Sandro Bondi perchè un’attrice così importante non poteva fare quella fine lì». Il tentativo di promuovere per lei la concessione della legge Bacchelli andò a vuoto, «mi dovetti arrendere, ma oggi non mi dò pace di non aver fatto di più». Questa era la Antonelli della fine, ma Banfi dell’icona sexy di una generazione almeno, quella che negli anni ’70 era rimasta folgorata dal corpo minuto e perfetto dell’esule istriana protagonista di Malizia, Sessomatto, Divina Creatura, ha anche altri ricordi, decisamente più belli. «Me la ricordo ad esempio sul set di Roba da ricchi, mi chiese di insegnarle il dialetto pugliese, ma su di lei veniva sempre troppo chic. Era una delizia. In quegli anni ci siamo frequentati tanto era una donna socievolissima, spiritosa, autoironica, sempre con la battuta pronta, sul set arrivava prima di tutti ed era una grande compagnona». Ma come fu che negli anni ’90 precipitò in quel modo, la tossicodipendenza, le punture su quel viso perfetto? «Aveva una grande fragilità di carattere, la prendevamo in giro: non contava mai fino a 10 per qualunque cosa, al massimo arrivava a 3, era sempre stata una persona un pò sbandata, che si fidava della gente, e spesso erano persone sbagliate». Racconta ancora Banfi di quella volta che d’estate l’andò a trovare nella villa a Cerveteri, «una bella casa piena di gente che chiaramente si approfittava di lei, parenti compresi. Penso sia stata per tutta la vita una persona molto sola». Laura Antonelli, però, conclude Banfi, «era di una grande bontà. Quando andai via quel giorno da Ladispoli le lasciai un bel gruzzoletto di soldi, due minuti dopo vidi che ne dava tanti ad una persona che girava per la casa. Le dissi ‘ma Laura li ho dati a te perchè ne hai bisognò. Lei mi rispose, ‘c’è chi ne ha ancora più bisognò. Ecco come era». – Via Napoli, dove si trova l’ultimo discreto rifugio di Laura Antonelli, è deserta. Non un fiore nè un bigliettino sono stati lasciati davanti al portone del palazzo dove l’attrice si era rinchiusa in una sua personalissima clausura. Nessuno, o quasi, sa che in quel condominio abitava da più di vent’anni Laura Antonelli, icona sexy degli anni Settanta scomparsa la scorsa notte. In quell’anonimo palazzo sul litorale vicino a Roma l’attrice aveva scelto nel silenzio di farsi dimenticare dopo un periodo difficile. Nel piccolo appartamento di Ladispoli la radio è sintonizzata ancora su «Radio Maria». L’attrice passava le giornate ad ascoltare rosari e preghiere, confidandosi solo con qualche caro amico – come Lino Banfi o Claudia Koll – che ogni tanto passava a trovarla. Lei, simbolo del cinema erotico italiano, aveva riscoperto la fede. Ci si era aggrappata con tutte le forze che le erano rimaste, tanto da chiedere lei stessa dove e da chi far celebrare le esequie. In un bigliettino lasciato in casa ha scritto le sue ultime volontà, nonostante da anni le era stato assegnato un tutore in quanto dichiarata incapace di intendere e volere. Ha indicato chi avvisare e a chi lasciare i suoi affetti, rappresentati da una bibbia e qualche libro. E poi niente camera ardente, ma solo i funerali. A celebrarli – per la data bisognerà attendere l’arrivo in Italia del fratello che vive in Canada – sarà don Alberto, parroco-amico della chiesa di Santa Maria del Rosario, dove fino a qualche anno fa la Antonelli passava i pomeriggi. «Era una persona fragile ma molto religiosa e devota – racconta il sacerdote -. Sono molto felice abbia scelto me come celebrante. Fino a qualche anno fa veniva spesso qui, ma ormai non frequentava più neanche la chiesa». Nel quartiere tutti ricordano l’attrice, qualcuno sorride ripensando a «Malizia» o a «Rimini Rimini», altri invece ricordano gli anni difficili dell’artista. «Non so neanche se veniva qui a prendere il caffè – confida il titolare del bar a due passi dalla chiesa -, mi avevano detto che era irriconoscibile dopo l’intervento chirurgico andato male». A via Napoli i vicini restano affacciati al balcone, incuriositi dalle auto dei carabinieri intervenuti per i rilievi. «Non si vedeva più in giro – ammettono i vicini -, aveva una badante che si prendeva cura di lei». Ed è stata proprio lei a dare l’allarme questa mattina, quando ha trovato l’attrice esanime a terra nella piccola sala da pranzo, stroncata probabilmente da un infarto. Il corpo dell’artista ora è nella sala mortuaria del cimitero cittadino, dove recentemente aveva comprato un loculo. Oggi il cancello è chiuso da catena e lucchetto, come ogni lunedì. Nessuno può avvicinarsi, nessuno può salutare l’attrice. Il Comune è pronto a dedicarle un centro culturale, ma non è escluso che presto Ladispoli abbia una «via Laura Antonelli», in ricordo di un’attrice di «rara bellezza» e «grande bravura», come l’ha definita il ministro Franceschini nel suo messaggio di cordoglio.

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