Eliseo, Dini propone Ivanov: "Checov poco frequentato" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Eliseo, Dini propone Ivanov: “Checov poco frequentato”

– Come le messinscene di Amleto anche quelle di Cechov hanno una valenza generazionale, acquistano un valore, un senso diverso, restando sempre «nostre contemporanee», come accade per i grandi classici, e tanto più questo parallelo vale per «Ivanov» dello scrittore russo, in cui più volte il protagonista cita e si paragona al principe shakespeariano, e che ora ripropone, interprete e regista, Filippo Dini al Teatro Eliseo, dove resta sino al 15 novembre, andando poi, tra l’altro, a Parma dal 20, a Imola dal 25 e a Trieste dal 16 dicembre. E in questa proposta quel che colpisce, e in cui possiamo riconoscere questi nostri tempi, è la risata grottesca e disperata dei personaggi, che si sentono impotenti e senza più futuro davanti a una crisi, alla mancanza di denaro e un’avidità assieme che disumanizza tutti i sentimenti, creando situazioni paradossali, assurdamente comiche, da «commedia divertentissima, ma in cui non c’è niente da ridere». Si afferma dolorosamente che «Quando ci sono delle speranze, si vive felici comunque», proprio perchè qui di speranza non ce ne è più e ognuno va così incontro al proprio destino inevitabilmente, tanto che il «lieto fine», le nozze tra il povero vedovo Ivanov e la ricca Sasha e una presa di coscienza generale, mutano tutto in tragedia e tutti disperatamente piangono, come non riuscendo a capire il mistero della vita. Cechov racconta l’ultimo anno di vita di un colto nobiluomo indebitato e vessato che si sente inutile, angosciato, oppresso dalla noia e l’impotenza, mentre aspetta la rovina della sua tenuta, che non ha saputo amministrare, e la morte per tisi della moglie, che non ama più, mentre è attratto, distratto e momentaneamente rivitalizzato dall’interesse e l’amore della giovane figlia dei vicini Lebedov, borghesi arricchiti, la quale rivendica il proprio «amore attivo», ovvero pronto a agire e sacrificarsi per salvare l’oggetto del proprio sentimento. Amleto soccombe a un continuo darsi da fare per raddrizzare torti e trovare un senso alla propria esistenza e malinconia, Ivanov cede alla propria impotenza davanti all’inettitudine, all’assenza di sentimenti e alla morte, vinto dai complessi di colpa e da un’incapacità a reagire, a replicare alle attenzioni e l’affetto che hanno per lui gli altri, dalla moglie Anaja all’amico Pavel Lebedev a Sasha, o all’arroganza del fattore Borkin o l’impietoso amore per la verità del dottor L’vov, che ha in cura Anja. E il filo rosso diventa la noia, come espressione dell’oppressione del nonsenso di vivere, come incapacità di un certo mondo alla fine, di affrontare la realtà, esaltata dal commento musicale di Arturo Annechino, da certi stridori che rendono l’assillo ela sofferenza interiore. Nella scenografia di Laura Benzi, che si dilata e restringe a creare i vari ambienti di simbolico realismo, «Ivanov» si rivela testo ricchissimo ancora una volta, anche se assai poco frequentato, ed è merito di Dini aver deciso di misurarcisi, mettendo verità e umanità nel protagonista, con cui tutti gli altri si rapportano sino alla sua drammatica presa di coscienza finale, mentre la sua regia, che non teme giustamente la lunghezza del testo nella nuova, viva traduzione di Danilo Macri, riesce comunque a avere una buona vivacità e ritmo, anche se portando gli attori qualche volta sopra le righe, tutti da lodare per l’impegno (la maggioranza affronta due personaggi) e la tensione tragica e beffarda che trasmettono con leggerezza e maliconica allegria tutta cechoviana, dalla Anja di Sara Beretelà, al Pavel di Gianluca Gobbi al Borkin di Fulvio Pepe.

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