Shalabayeva per 7 volte implorò la polizia: "Non mi cacciate". La decisione arrivò dall'alto | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Shalabayeva per 7 volte implorò la polizia: “Non mi cacciate”. La decisione arrivò dall’alto

Per almeno sette volte – in circostanze diverse, in giorni diversi – Alma Shalabayeva ha implorato gli operatori di polizia che l’hanno prelevata dalla sua villa di Casal Palocco e infine imbarcata su un volo diretto in Kazakistan, evidenziando i «gravissimi rischi» che avrebbe corso se fosse stata espulsa. L’ultimo grido – «io voglio l’asilo politico» – sulla scaletta dell’aereo. Ignorato, perchè – è stata la risposta – «tutto è stato già deciso ad alto livello». La ricostruzione di questi passaggi l’hanno fatta i carabinieri del Ros e la procura di Perugia, che ha indagato sette poliziotti e un giudice di pace per il sequestro della Shalabayeva (in concorso con alcuni funzionari kazaki, non tutti identificati), oltre che per falso, abuso d’ufficio, omissione di atti d’ufficio ed altri reati. Nel pomeriggio del 29 maggio 2013, dopo la drammatica perquisizione a Casal Palocco, la Shalabayeva viene condotta nell’ufficio immigrazione della Questura. Qui riferisce al personale presente le sue reali generalità, spiegando che quello di Alma Ayan era solo un nome di copertura per motivi di sicurezza personale: circostanza peraltro già nota ai dirigenti della Mobile, perchè tutto era scritto nella «nota verbale», corredata da foto e 21 allegati, consegnata dall’ambasciatore kazako Andrian Yelemessov al capo dell’ufficio, Renato Cortese, nel primo pomeriggio del 28, il giorno precedente. «Dissi chi fosse mio marito – è il racconto della Shalabayeva, come riportano le carte dell’inchiesta – il suo ruolo di oppositore del regime kazako, che il regime predetto era giunto ad uccidere i suoi oppositori, le torture cui era stato assoggettato mio marito quando era stato arrestato in Kazakistan, l’asilo politico ottenuto in Inghilterra e il conseguente permesso di residenza in Inghilterra: precisai anche che avevo il permesso di residenza in Lettonia e di avere anche un passaporto kazako». Permesso e passaporto che in una perquisizione del 31 maggio nella villa di Casal Palocco furono ritrovati dai funzionari della Mobile sul tavolo della sala ma che non furono repertati, nè il ritrovamento venne segnalato alla procura. La mattina del 30 maggio Alma Shalabayeva ripete al poliziotto Vincenzo Tramma, incaricato di sentire la donna, di essere «perseguitata dal regime kazako in quanto moglie del dissidente Ablyazov, di temere per la propria incolumità e di avere paura dell’ambasciata kazaka». Il giorno successivo, dalle 10.40 alle 11.20, si tiene l’udienza di convalida del trattenimento della Sahalabayeva presso il Cie di Ponte Galeria, davanti al giudice di pace Stefania Lavore. Un «passaggio essenziale della traduzione forzata» della donna in Kazakistan, come lo definirà la Cassazione. Anche in questa circostanza Alma Shalabayeva – alla presenza degli agenti Stefano Leoni e Vincenzo Tramma – ripete le sue ragioni. Insieme ai suoi legali sottolinea tra l’altro il «gravissimo rischio per la sua incolumità» in caso rimpatrio forzato in Kazakistan e che intendeva avvalersi degli strumenti di protezione internazionale e chiedere asilo politico. Si tratta di una serie di circostanze che, annotano i pm di Perugia, «non avrebbero consentito nè l’espulsione, nè il trattenimento, nè la convalida», ma che il giudice Lavore non annota nel verbale d’udienza. Sempre il 31, nel corso del viaggio dal Cie di Ponte Galeria all’aeroporto di Ciampino, dove era pronto l’aereo della Avcon Jet, pagato dall’ambasciata kazaka, la Shalabayeva parlando con l’agente Laura Scipioni, alla presenza di Tramma, ripete ancora una volta di essere perseguitata politicamente dal regime del presidente kazako Nazarbayev che «voleva uccidere» suo marito e a più riprese avanza la richiesta di asilo politico. Giunta in aeroporto, «Alma Shalabayeva – si legge negli atti – chiedeva ‘ad alta voce l’asilo politicò alla presenza dell’assistente Scipioni ed altri operanti e nuovamente chiedeva asilo politico alla presenza della Scipioni e del Tramma, all’aeroporto di Ciampino, nel mini bus che la conduceva sottobordo ma la Scipioni le riferiva che era troppo tardi e che tutto era stato già deciso (‘everything is already decided’)». Poco prima di salire sull’aereo, alla presenza del consigliere dell’ambasciata del Kazakistan Khassen, dell’agente Tramma e di altro personale, l’ultimo grido di aiuto di Alma Shalabayeva. «Io voglio l’asilo politico», urla, questa volta in russo. La frase viene tradotta in italiano da Khassen ma gli operatori presenti replicano che è impossibile: «i documenti sono già stati firmati, tutto è stato già deciso ad alto livello».

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